Più di 19 miliardi di euro spesi in Italia in due anni di pandemia

(da M.D. Digital)   Due anni di pandemia, dal primo paziente italiano a oggi, hanno determinato in Italia una spesa di 19 miliardi di euro; 11,5 miliardi di questi legati all’incremento della spesa sanitaria delle Regioni, 4,3 miliardi per l’acquisto di dispositivi di protezione (DPI), anticorpi monoclonali, fiale remdesivir, gel, siringhe, tamponi, ventilatori, monitor, software, voli, (acquisti direttamente gestiti dalla struttura commissariale dell’emergenza Covid), infine 3,2 miliardi di euro per l’acquisto dei vaccini. È la stima della spesa che ha dovuto sostenere il Paese in due anni di emergenza pandemica, dal paziente “1” di Codogno, messa a punto dagli esperti dell’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari (Altems) della Facoltà di Economia dell’Università Cattolica, che ha elaborato un report di sintesi della risposta alla diffusione del virus, soffermandosi sui modelli istituzionali e organizzativi adottati dalle Regioni italiane.

Dal rapporto si evince anche che in totale, indicativamente una persona su cinque (20,05%) in Italia è stata contagiata (il dato non tiene conto delle reinfezioni), con un valore massimo registrato dalla PA di Bolzano (33,9%), una persona su tre, e un valore minimo registrato in Sardegna (9,7%), una persona su dieci.  Inoltre si evidenzia come si è passati da una letalità (percentuale di vittime sul totale dei casi) del 15% (circa un paziente Covid-19 su 7) nella prima ondata pandemica; a una, riscontrata tra ottobre e novembre 2020, più bassa che si assestava intorno al 3%. Dall’inizio di gennaio 2022 si assiste ad un’ulteriore diminuzione nei valori di letalità grezza apparente, che la porta poco sopra l’1%.  Quanto alla mortalità (percentuale di deceduti sul totale della popolazione), era di 4,83 per 100 mila abitanti nella prima ondata, contro una mortalità di 1,29 per 100.000 nell’ultima.

Mentre nella prima ondata, un paziente su due veniva gestito in ospedale (45% a livello nazionale), per le ondate successive, tutte le Regioni hanno notevolmente ridotto la quota dei pazienti ospedalizzati, optando per un modello di gestione prevalentemente territoriale (integrato dall’ospedale). Per la quarta ondata, la quota degli ospedalizzati nei casi (peraltro molto più numerosi rispetto a tutte le ondate precedenti) si è attestata poco sopra il 2,5%. Infatti, mentre nella prima ondata la quota degli isolati a domicilio si muove circa tra il 35-85% dei casi, dalla fine della prima ondata in poi la quota degli isolati a domicilio si assesta intorno al 95% dei casi.   “La nostra serie settimanale - che aveva già visto un'edizione speciale dell’Instant Report a fine anno 2020 in prossimità dell’avvio della campagna vaccinale - viene presentata in forma diversa rispetto agli 85 report precedenti - afferma il professor Americo Cicchetti, direttore dell’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi sanitari dell’Università Cattolica.  "Il Report è stato strutturato per fornire una sintesi di quanto accaduto negli ultimi 24 mesi fornendo una lettura complessiva degli eventi e delle modalità di risposta adottate dalle Regioni - continua Cicchetti - e beneficia delle analisi effettuate negli ultimi due anni dal gruppo di lavoro grazie a tre diversi set di indicatori che corrispondono al sistema di analisi applicato alle quattro ondate dell’epidemia”.

Profilassi con iodio in caso di radioattività: ecco le indicazioni reali

(da Univadis)    L'invasione dell'Ucraina da parte della Russia e le minacce di Vladimir Putin di portare il sistema di controllo delle armi nucleari al livello di massima allerta hanno scatenato un'ondata di ansia in tutta l’Europa, in particolare in Europa Centrale. Anche la popolazione Italiana, però, mostra preoccupazione, secondo quanto rileva Federfarma, la federazione nazionale dei titolari di farmacie, che ha notato una corsa all’acquisto di compresse e supplementi a base di ioduro di potassio.  Ancora maggiore è la tensione in Europa centrale. «Negli ultimi sei giorni le farmacie bulgare hanno venduto tanto iodio quanto ne vendono per un anno» ha detto Nikolay Kostov, presidente dell'Unione delle farmacie bulgare. «Alcune farmacie hanno già esaurito le scorte. Abbiamo ordinato nuove quantità, ma temo che non dureranno a lungo».  In Polonia, il numero di farmacie che vendono iodio è più che raddoppiato, secondo gdziepolek.pl, un sito web polacco che aiuta i pazienti a trovare la farmacia più vicina.

Anche la Francia e la Germania segnalano acquisti in quantità anomale: in questo caso, come in Italia, oltre allo iodio alcuni cittadini richiedono anche la levotiroxina sodica, un ormone tiroideo che può effettivamente bloccare la funzione della ghiandola per ridurre l’esposizione alle radiazioni, ma solo dopo diverse settimane : quindi non è utile né è mai stato somministrato per profilassi in caso di radiazioni.  «È una follia» ha dichiarato a Medscape.com Miroslava Stenkova, una rappresentante delle farmacie della catena Dr. Max nella Repubblica Ceca, dove alcuni negozi hanno finito lo iodio dopo l'impennata nella domanda.  Dana Drabova, capo dell'ufficio statale ceco per la sicurezza nucleare, ha scritto su Twitter: «Chiedete molto alle compresse di iodio... come protezione dalle radiazioni quando (Dio non voglia) vengono usate armi nucleari, sono fondamentalmente inutili».  L’uso di armi nucleari non è però la ragione principale dei timori dei cittadini europei. La notizia della scorsa settimana che le forze russe hanno ottenuto il controllo dell'impianto nucleare di Chernobyl, ha risvegliato i timori, cresciuti dopo la notizia di ieri (9 marzo) secondo la quale il personale della centrale, sequestrato dai soldati russi, non risponderebbe più al telefono. Se i macchinari non vengono supervisionati, avvertono le autorità ucraine, si potrebbero avere fuoriuscite di radioattività nelle 48 ore successive.  «Anche se preoccupante, il deterioramento osservato nelle ultime 24 ore nelle immediate vicinanze dei siti nucleari in Ucraina non richiede alcuna misura di prevenzione sul territorio nazionale» hanno dichiarato le autorità sanitarie francesi. «La situazione è seguita da vicino. L'acquisizione e l'assunzione di iodio stabile come precauzione, senza una raccomandazione da parte delle autorità, non è necessaria».  In caso di emergenza, lo stato francese prevede la distribuzione di compresse alla popolazione a partire dalle scorte possedute dai distributori all'ingrosso.

Le indicazioni mediche

Lo iodio radioattivo può legarsi alla tiroide e aumentare il rischio di cancro. Pertanto, l'assunzione di iodio stabile permette alla tiroide di saturarsi e limita la fissazione dello iodio radioattivo che sarà poi eliminato, in particolare attraverso l'urina.  La massima efficienza i termini di prevenzione si osserva entro 6-12 ore dall'esposizione alla radioattività. Oltre le 24 ore, gli effetti collaterali (tiroidei e cardiaci) superano i benefici previsti.  L'Agenzia internazionale per la sicurezza nucleare stima che una compressa, ingoiata o sciolta in un bicchiere d'acqua, è sufficiente a proteggere efficacemente un adolescente o un adulto per due giorni. Va notato che l'assunzione di compresse di iodio stabile non protegge da altri elementi radioattivi (come il cesio-134 o il cesio-137).  Al fine di chiarire tutti gli aspetti clinici di questo strumento di prevenzione, la Società italiana di medicina generale (SIMG) ha pubblicato oggi (9 marzo) una linea guida per l’uso dello iodio, curata da Daniele Morini, Erik Lagolio, Lucia Muraca, Ignazio Grattagliano e Claudio Cricelli.  «A seguito dell’incidente di Chernobyl nel 1986 è stato registrato un aumento di 100 volte nell’incidenza di tumori tiroidei infantili con dimostrata causa nell’isotopo radioattivo dello iodio (I131). L’aumento dell’incidenza è stato osservato fino a 500 km di distanza dal sito dell’incidente. Il rischio di cancro varia in base alle dosi di radiazione assorbita e all’età della persona, più alta nei bambini rispetto agli adulti» spiegano gli esperti.

Lo iodio radioattivo può essere assunto sia per inalazione sia per ingestione di cibi contaminati. L’inalazione di radioiodio inizia quando la nube radioattiva arriva in zona e dura tutto il tempo del passaggio. Gli isotopi radioattivi si depositano nel terreno, sui vestiti e sulla pelle. L’accumulo selettivo di iodio radioattivo a livello tiroideo porta ad esposizione radioattiva interna e quindi ad un aumento di rischio di cancro e noduli benigni. Questi rischi possono essere in parte ridotti o prevenuti con misure di profilassi.   Il rischio di induzione di carcinoma tiroideo da iodio radioattivo è fortemente dipendente dall’età al momento dell’esposizione. «La maggiore attenzione per gli individui fino a 18 anni, per le donne in gravidanza e in allattamento risulta giustificato sulla base di consolidate evidenze scientifiche circa la maggiore suscettibilità di neonati, bambini e adolescenti rispetto agli effetti stocastici radioindotti nella ghiandola tiroide e, più in generale, sulla base dell’evidenza di una netta dipendenza del rischio relativo di induzione di carcinoma tiroideo dall’età al momento dell’esposizione alle radiazioni» spiega Cricelli. «Gli studi indicano in particolare che tale rischio si riduce grandemente oltre i 15-20 anni di età e tende ad annullarsi oltre i 40 anni di età all’esposizione».

Anche in gravidanza vi è una maggiore suscettibilità della ghiandola, sottoposta a intensa stimolazione funzionale specialmente nel primo trimestre: la frazione di iodio radioattivo assorbito dalla tiroide in queste condizioni è aumentata rispetto alla rimanente popolazione adulta. Nel secondo e terzo trimestre di gravidanza occorre anche considerare che la tiroide fetale è già funzionante e che lo iodio radioattivo può attraversare il filtro placentare ed essere attivamente captato. Inoltre il radioiodio può essere escreto nel latte materno.

Posologie e formulazioni

«Lo iodio può essere assunto sia in compresse che in forma liquida e necessita di protezione da aria, calore, luce e umidità» spiegano gli esperti. «È somministrabile sia come ioduro di potassio che come iodato di potassio, quest’ultimo meno tollerato a livello intestinale».   Per una soppressione adeguata, solo nel caso in cui il rischio di assorbimento di I131 superi soglie specifiche per ogni gruppo di popolazione, la posologia consigliata, seguendo le linee guida dell’OMS, è di circa 100 mg di iodio stabile in dose unica negli adulti. Dato che la durata del blocco funzionale tiroideo dopo una singola somministrazione è di circa 24-48 ore, soltanto nell’eventualità di un rilascio prolungato di radiazioni potrebbe essere presa in considerazione l’ipotesi di somministrazioni ripetute.   Gli integratori presenti in commercio contengono quantità molto basse di iodio, pari a 50-225 μg, quindi di gran lunga insufficienti ad indurre iodoprofilassi a dosaggio soppressivo.   «In questo momento, dunque, correre ad acquistare integratori a base di iodio non è razionale. In caso di incidente nucleare, esiste in Italia un Piano nazionale delle misure protettive contro le emergenze radiologiche che si occuperebbe del rifornimento di questi farmaci alla popolazione in base ai livelli stimati di assorbimento di I131 nelle 48 ore successive all’evento» spiega Cricelli. Se si verificasse un’eventualità di questo tipo, sarebbero dunque le istituzioni a organizzare a dosaggio soppressivo.   L’incidenza degli effetti collaterali aumenta con l’aumentare delle dosi ripetute ed è comunque in buona parte poco conosciuta. Tuttavia, l’esperienza della Polonia, in cui lo ioduro di potassio fu somministrato in dose singola a 10 milioni di bambini dopo l’incidente di Chernobyl, ha mostrato un’incidenza di effetti collaterali gravi inferiore a 1 su 10 milioni di bambini e 1 su 1 milione negli adulti. Più frequenti sono diarrea, eruzioni cutanee, dolori addominali, reazioni allergiche e alterazione della funzionalità della ghiandola (iper e ipotiroidismo) nell’immediato periodo post-assunzione.    «Data la distanza di oltre 1000 km dal fronte di guerra ucraino (oltre il doppio del raggio in cui si è  verificato un aumento di incidenza di tumori alla tiroide dopo l’incidente di Chernobyl) il rischio di esposizione a iodio radioattivo è remoto» conclude Cricelli. «E ci sarebbe comunque tempo sufficiente per mettere in atto la profilassi nei soli soggetti in cui l’intervento sarebbe favorevole».

(Ross DG et al. 2016 American Thyroid Association Guidelines for Diagnosis and Management of Hyper­thyroidism and Other Causes of Thyrotoxicosis. Thyroid 2016;26:1343. doi: 10.1089/thy.2016.0229.)

Studio del Policlinico Bari, depressione e stanchezza dopo il Covid

(da DottNet)   Il Policlinico di Bari ha seguito in un anno oltre 1300 pazienti con sindromi post-Covid, con un'età media di circa 49 anni, e ha notato che in seguito alla malattia hanno sviluppato difficoltà respiratorie e di concentrazione, ansia, depressione o persistente senso di stanchezza. A seguire i casi di post-Covid sono stati gli ambulatori delle unità operative di Medicina interna "Murri" diretta da Piero Portincasa, Pneumologia diretta da Elisiana Carpagnano, e Malattie infettive coordinata da Annalisa Saracino. Le attività dell'ambulatorio post-Covid sono iniziate a dicembre 2020, dopo la prima ondata pandemica. "I sintomi più comuni rilevati in circa il 30% sono astenia, difficoltà respiratorie, difficoltà di concentrazione, ansia, depressione", spiega Portincasa che, attraverso l'ambulatorio post-Covid di Medicina interna ha seguito circa 400 pazienti. "Questi sintomi - prosegue - possono avere nuova insorgenza o persistere dopo l'iniziale guarigione dal Covid. Possono essere presenti con differente intensità nel corso del tempo o scomparire e successivamente recidivare. In alcuni casi abbiamo notato persistenza di iposmia (riduzione dell'olfatto) e ipogeusia (riduzione della percezione dei sapori), o alopecia (caduta di capelli) specie nelle donne". La maggior parte dei pazienti seguiti negli ambulatori per il post Covid sono stati inseriti in un programma di follow-up a medio-lungo termine che permetterà di valutare meglio l'evoluzione del nuovo quadro clinico, ancora in fase di studio e di valutazione da parte della comunità scientifica internazionale. "Al momento - conclude Portincasa - non esistono ancora protocolli terapeutici validati e universalmente applicabili. Le terapie variano da caso a caso e possono comprendere farmaci sintomatici, indicazioni su eventuali modificazioni di dieta e stili di vita, nutraceutici, integratori, supporto psico-cognitivi".

La pandemia mette a dura prova la professione medica. Un sondaggio fa il punto

(da Doctor33)  Fin dai primi segnali dell'inizio dell'epidemia, i medici si sono trovati ad affrontare dubbi e paure nei loro pazienti. Dopo i primi momenti di confusione, iniziati a marzo del 2020, i medici, man mano che venivano adottate le varie misure di contenimento della pandemia, hanno iniziato a cambiare profondamente la loro organizzazione lavorativa e quotidiana, con non poche difficoltà. Nuove criticità, non solo dal punto di vista della qualità della vita, ma sul versante della loro salute psico fisica.
Da un ultimo sondaggio, lanciato dalla Federazione Cimo Fesmed su 4,258 medici, è risultata una immagine poco serena della professione. In sintesi, il 72% dei medici ospedalieri vorrebbe abbandonare il pubblico, con un medico su tre a dichiarare una qualità della loro vita nettamente insufficiente. In più, sono in tantissimi i medici ad affermare l'enorme accumulo di ferie inevase, con il 73% degli intervistati costretto agli straordinari. Anche per i giovani medici le cose non vanno tanto bene, visto il calo delle aspettative di carriera e retribuzione in generale. Dal sondaggio l'attaccamento alla professione rimane comunque molto forte (72%), ma solo il 28% del totale intervistato ha dichiarato di voler rimanere a lavorare nel pubblico. Inoltre, c'è ormai percezione diffusa tra i medici di scarso riconoscimento sociale e nelle istituzioni, con retribuzioni non adeguate, scarsa organizzazione aziendale e poche aspettative di miglioramento della carriera. Tutto questo non sta facendo che aumentare la voglia dei professionisti di riconvertire la propria attività, magari nel privato (14%), oppure di ritirarsi ad una vita da pensionati (19%), andare all'estero (26%) o dedicarsi alla libera professione (13%). Dai dati del Conto annuale del Tesoro, già nel 2019, il 2,9% dei camici bianchi ospedalieri aveva deciso di dare le dimissioni, praticamente 3.123 dottori che si sono licenziati per andare a lavorare nel privato. Inoltre, durante i due anni di pandemia il fenomeno si è accentuato, portando i fuoriusciti a 4.000 l'anno. Secondo l'Enpam, a questi numeri si sono aggiunti altri 4000 professionisti che dal 2019 al 2021 hanno colto l'opportunità del prepensionamento approfittando dell'opzione "quota 100".

Oltre a tutto questo, l'arrivo della pandemia ha portato, oltre ad un carico di lavoro eccessivo e ad una smisurata quantità di tempo dedicata ad atti amministrativi, anche stress psico-fisico, con notevoli conseguenze su buona parte dei professionisti. Per il 55% degli intervistati, l'epidemia da Covid-19 ha messo a repentaglio la sicurezza delle loro famiglie, mentre il 64% ha reputato alto il rischio professionale corso negli ultimi due anni. Inoltre, quando agli intervistati si è chiesto chi li abbia realmente aiutati ad affrontare questo periodo, il 57% ha risposto "i colleghi", il 24% "familiari e amici", l'8% "nessuno" e solo il 5% "la società e le Istituzioni".
Per la professione medica, però, non va benissimo neanche nel resto d'Europa. Prendendo, ad esempio, un Paese come il Belgio, regione in cui fanno sede le istituzioni della UE, un recente sondaggio su quasi 500 medici condotto da HealthOne, specialista belga in software medicale, rappresenta uno scenario non troppo diverso rispetto all'Italia. Soprattutto durante la quarta ondata, tra novembre e dicembre 2021, il 67,2% degli intervistati ritiene che l'arrivo di Omicron abbia comportato un enorme carico di lavoro, oltre ad un aumento esponenziale delle visite e dei teleconsulti. Per quasi un medico su due (45,7%) l'ondata della variante omicron ha rappresentato quasi il 60% della totalità del lavoro. Dalla survey si evince anche che un medico su due ha, purtroppo, deciso di non accettare nuovi pazienti per evidenti impossibilità di tempo da dedicare. E non si tratta dell'unica misura adottata in tempo pandemico tra i medici belgi: il 14% ha deciso di unire gli studi con altri colleghi per condividere il lavoro, mentre un medico su quattro (25%) ha assunto un collaboratore amministrativo o un nuovo membro dello staff per riuscire a soddisfare i bisogni dei pazienti. Inoltre, l'85% degli intervistati ha dichiarato di avere avuto un grande calo della qualità della vita, con conseguenze psico-fisiche anche di grande impatto. Un quarto di questi (24,5%) ha affermato l'insorgenza di disturbi anche gravi (stress, ansia, insonnia, burn-out). Per quasi nove medici su dieci (88%) il sovraccarico lavorativo ha avuto impatto sulla loro privacy. Sempre dal sondaggio, circa il 61% ha riconsiderato negativamente la propria professione e il 35% di questi sta pensando di riconvertire il proprio lavoro o di andare in pensione anticipata.

Ferie del medico accumulate e non godute: l’Azienda deve pagarle anche se in pensione

(da DottNet)   Le ferie sono un diritto a cui nessun operatore sanitario dovrebbe rinunciare. Non solo. L'azienda è tenuta ad assicurarsi, attivamente e in piena trasparenza, che ogni operatore sanitario fruisca effettivamente delle ferie, mettendolo nelle migliori condizioni per poterlo fare. Questi sono alcuni dei principi comunitari, ribaditi più volte dalla Corte di Giustizia Europea, che hanno ispirato la sentenza recentemente emessa dal Tribunale Ordinario di Modena a favore di un medico che, in tanti anni di lavoro, ha accumulato un numero straordinario di ferie maturate e non godute.
Il giudice ha stabilito che il medico ha diritto al pagamento dell’indennità sostitutiva, aprendo così alla possibilità per altri operatori sanitari di essere risarciti. Ha infatti implicazioni importanti questa sentenza ottenuta grazie all'impegno di un network legale. Sono 5 milioni di giorni di ferie accumulate negli anni e ancora non godute da parte dei medici e dirigenti sanitari del SSN. Tra le cause dichiarate, ci sono difficoltà nell’organizzazione dei servizi e calo progressivo delle dotazioni organiche iniziato dal 2009. Sono i dati diffusi da un recente rapporto di Anaao Assomed, l’associazione dei Medici Dirigenti. Se si unisce l’area medica e quella chirurgica, viene fuori che il 73% degli intervistati ha fra i 30 e gli oltre 120 giorni di ferie non godute.
“Questa nuova sentenza conferma con forza che le ferie retribuite non godute dal medico non sono definitivamente perse”, sottolineano i legali del Gruppo.  “Anzi i medici possono legittimamente reclamare il risarcimento del danno patito ovvero, in certi casi, il pagamento di un indennizzo finanziario sostitutivo”, aggiungono. Neanche l'emergenza Covid-19 può annullare questo diritto. “L'azienda sanitaria ha il dovere di organizzare al meglio le turnistiche di lavoro, vigilando perché tutti possano concretamente e pienamente godere – ribadiscono i legali - delle ferie maturate, avvisando i lavoratori delle modalità di utilizzo e dei rischi connessi alla mancata fruizione” – sottolineano i legali – “Il problema delle ferie non godute non è certo nuovo ma esistente già prima della pandemia Covid e da un punto di vista legale, se il medico non riesce a godere delle sue ferie per impedimenti che non dipendono dalla sua volontà ma dal datore di lavoro, ha diritto ad ottenere il pagamento dell’indennità sostitutiva”.
Per ricorrere alle vie legali la finestra temporale è più ampia di quanto previsto. “La prescrizione inizia a decorrere dalla cessazione del rapporto di lavoro e non dall’anno a cui competono i giorni di ferie non goduti", specifica la sentenza raccolta dai legali.

“L’unica certezza del Covid: è l’incertezza”

(da M.D. Digital)  “Non c'è ancora nulla che ci consenta di dire che non esiste, da qualche parte nel mondo, una nuova variante proveniente da un ceppo più pericoloso di Omicron”, ha sottolineato il ministro della salute francese, Oliver Véran, al termine del consiglio informale della Salute di Grenoble che ha visto riuniti i 26 ministri della Salute dei governi europei. Un invito alla cautela, nonostante il calo dei contagi che si sta verificando un po' in tutta Europa nelle ultime settimane, prudenza a cui si associano tutti gli altri 26 ministri. "L'unica certezza del Covid: è l'incertezza" ha chiosato la commissaria Ue alla salute, Stella Kyriakides.  L'incontro, dove i responsabili della Sanità dei paesi europei hanno messo a confronto le diverse opinioni sull'evolversi della pandemia, ha visto emergere una certa prudenza, un invito a "non abbassare la guardia perché dobbiamo essere pronti in ogni momento, a fronteggiare una nuova variante diversa", ha spiegato Veràn.  Soddisfazione per il meeting anche dal ministro della salute, Roberto Speranza, che in un tweet ha detto: "A Lione e Grenoble con i ministri della Salute e degli Esteri Ue. Al lavoro per costruire l’Unione Europea della salute e vincere la battaglia contro il Covid".