Non è più raccomandato lo screening per la rosolia in gravidanza

(da Univadis)    Se una gestante contrae la rosolia nelle prime 17 settimane di gravidanza, corre un rischio elevato, fino all’80%, di aborto spontaneo, morte intrauterina o gravi malformazioni fetali, la cosiddetta rosolia congenita del neonato. È un’eventualità che spaventa, o meglio che spaventava in Italia, perché grazie all’ampia copertura vaccinale della popolazione, nel 2021 l’OMS ha dichiarato raggiunta l’eliminazione della trasmissione endemica dell’infezione nel nostro Paese. L’Istituto Superiore di Sanità ne ha preso atto e nell’aggiornamento delle Linee Guida per l’assistenza alla gravidanza fisiologica (https://www.iss.it/documents/20126/9184367/LG-Gravidanza-Fisiologica-Parte1_protetto.pdf/f80f46c8-84b8-7310-4387-9e91ba779117?t=1703160748090)  pubblicato recentemente non raccomanda più di offrire a tutte le donne in attesa lo screening per la rosolia.

Il rubeo-test, l’analisi per cercare nel sangue gli anticorpi prodotti dalla vaccinazione o da una pregressa infezione da rosolia, fa parte tradizionalmente del pacchetto di esami che ogni medico prescrive alle proprie assistite all’inizio della gravidanza. Se dal test risulta che la donna non è vaccinata e non è mai entrata in contatto col virus, dunque è suscettibile al rischio di infezione, secondo la precedente edizione delle Linee Guida l’esame andrebbe ripetuto a 17 settimane di attesa, per rilevare un’eventuale rosolia contratta in gravidanza e in questo caso offrire alla donna un counselling multidisciplinare per l’elevato rischio di danni fetali gravi. L’infezione contratta dopo la 17° settimana comporta invece solo un minimo rischio di sordità congenita. Non esiste alcun trattamento per prevenire la trasmissione verticale in caso di infezione durante l’attesa.   Per la donna che risultasse suscettibile al rischio di infezione, inoltre, le vecchie Linee Guida prevedevano la raccomandazione di pianificare la vaccinazione nel periodo post natale, con la prospettiva di proteggere eventuali gravidanze future. La vaccinazione anti-rosolia è controindicata in gravidanza perché il vaccino potrebbe essere teratogeno.

L’aggiornamento della raccomandazione

Dai primi anni ‘90 è stata introdotta in Italia la vaccinazione universale dei nuovi nati contro la rosolia, che dal 2017 figura tra le 10 obbligatorie in età pediatrica. Nel giugno del 2022, il Ministero della Salute ha rilevato una copertura vaccinale sulla popolazione di 24 mesi di età pari al 93,8%, una copertura del 93,3% sulla coorte di nascita del 2003 per la prima dose e dell’89% per la seconda dose.   “La rosolia è una malattia a notifica obbligatoria e nel 2013 il sistema di sorveglianza nazionale appena attivato rilevava un caso di rosolia congenita ogni 100 mila nuovi nati. Dal 2018 in poi non è stato rilevato più alcun caso”, osserva Vittorio Basevi, ginecologo della Commissione consultiva tecnico-scientifica sul percorso nascita della Regione Emilia Romagna e coordinatore del Comitato Tecnico Scientifico che ha elaborato l’aggiornamento delle Linee Guida. “Grazie all’estesa copertura vaccinale, l’infezione non circola più in Italia. È sulla base di questi dati che abbiamo deciso di non offrire più lo screening alle donne in gravidanza”.   Rimane invece confermata la raccomandazione di offrire la vaccinazione anti rosolia nel post partum a tutte le donne che non avessero documentazione di avvenuta vaccinazione con due dosi o di pregressa infezione.

La situazione delle persone di origine straniera

Come ci si deve regolare nell’assistenza alla gravidanza di una donna di origine straniera, nata in un Paese dove non è prevista la vaccinazione universale contro la rosolia? La probabilità che sia suscettibile all’infezione è superiore rispetto alla popolazione generale in Italia. “D’altra parte, poiché nel nostro Paese il virus non circola più, la probabilità che contragga il virus in gravidanza è trascurabile, a meno che non abbia fatto di recente un viaggio nel Paese d’origine, oppure che non sia entrata in contatto con familiari arrivati da poco in Italia”, osserva Basevi. “Le Linee Guida si riferiscono all’offerta dello screening a tutte le donne in gravidanza. Nei casi specifici, spetta al medico curante che agisce in scienza e coscienza adottare la condotta che ritiene opportuna”.

Infarto e ictus, fare colazione presto e non cenare tardi riduce rischi

(da DottNet)   . Fare colazione al mattino presto e non cenare troppo tardi riduce il rischio il rischio di malattie cardiovascolari, coronariche e cerebrovascolari, infarto e ictus in primis E’ quanto emerge da un ampio studio che ha voluto approfondire il concetto, già noto, secondo cui mangiare presto alla sera faccia bene alla salute, andando a esaminare gli effetti degli orari dei pasti sul rischio cardiovascolare. I ricercatori del Nutritional epidemiology research team (Eren) dell’Inserm, Inrae, Università Sorbona di Parigi e dell’Istituto di Salute globale di Barcellona hanno studiato i dati di 103.389 adulti della coorte NutriNet-Santé dal 2009 al 2022 (79% donne) analizzando tutte le informazioni su ciò che le persone mangiano durante la giornata e in quali orario lo fanno.

Gli autori della ricerca, pubblicata su ‘Nature Communications’ – ricordando che le malattie cardiache e cerebrovascolari sono la principale causa di morte nel mondo e la metà di tutti i casi è legato alla dieta – hanno concluso, dunque, che mangiare troppo tardi per la prima volta durante la giornata e troppo tardi l’ultima volta è associato a un aumento del rischio di malattie cardiovascolari e cerebrovascolari. In particolare, ritardare l’ora della colazione fa salire del 6% il rischio di malattie cardiovascolari per ogni ora in più di ‘ritardo’. In altre parole: una persona che di solito fa colazione alle 9 del mattino ha un rischio maggiore del 6% di avere malattie cardiovascolari rispetto a qualcuno che fa colazione alle 8 del mattino. Mentre ritardare la cena aumenta dell’8% il rischio di ictus per ciascuna ora, tuttavia non risulta alcun aumento del rischio di malattia coronarica.

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