Carenza personale sanitario, che fare? Le proposte Fiaso

(da M.D.Digital)  Eliminare il tetto di spesa per il personale, assumere 30 mila medici e infermieri, assegnare una maggiorazione nelle retribuzioni ai professionisti che contribuiscono ad abbattere le liste d’attesa e introdurre una flat tax al 15% per le prestazioni extra e i turni aggiuntivi del personale sanitario. Sono le proposte lanciate al Governo dal presidente della Fiaso Giovanni Migliore durante l’apertura della Convention “Cambiamo rotta per il futuro della sanità pubblica” a Roma.
L’inserimento di un tetto di spesa ai costi del personale, impossibile da sforare, risale al 2004, due decenni in cui le aziende sanitarie si sono confrontate con l’impossibilità di assumere nuovi professionisti.  Il numero di dipendenti si è, al contrario, ridotto. Solo nel 2021 in 5mila operatori sanitari hanno lasciato il Servizio Sanitario Nazionale e in sette anni, dal 2018 al 2025, Fiaso ha calcolato che saranno andati in pensione oltre 54mila medici. Uscite che per la Federazione diventa impossibile compensare, non solo per la mancanza sul mercato del lavoro di personale sanitario di diversi profili e specializzazioni ma anche per lo scarso appeal del sistema pubblico relativo alla valorizzazione degli operatori sanitari: in particolare il trattamento economico e le possibilità di progressione di carriera. Non a caso, al termine della pandemia, si è registrata una fuga di medici e infermieri verso il privato
Ai numeri di personale ridotti all’osso si aggiunge poi il dato sull’età media dei dipendenti in servizio: nel 2020 il 56% del personale medico italiano aveva più di 55 anni di età, valore questo più alto tra tutti i paesi dell’Unione europea. Un dato, quello dell’età media, che diventa ancora più problematico in rapporto alle limitazioni che, secondo una recente ricerca Fiaso presentata nel corso della convention, rappresentano l’11% del totale degli operatori sanitari.
In uno scenario che, al contrario, ha visto crescere i bisogni sanitari con l’invecchiamento progressivo della popolazione. Gli over 65 sono più di 14 milioni e rappresentano il 24% dell’intera popolazione. Praticamente uno su quattro. Esattamente 20 anni fa, invece, i cittadini con età superiore a 65 anni erano 10 milioni, pari al 18% del totale. Una crescita esponenziale di 4 milioni, che corrispondono 6 punti percentuali. Esattamente 20 anni fa, infatti, i cittadini con età superiore a 65 anni erano 10 milioni, pari al 18% del totale.
“Le carenze negli organici e le lunghe liste di attesa aumentano il rischio di non garantire un servizio sanitario all’altezza e richiedono soluzioni immediate. Occorre procedere a 30 mila assunzioni tra medici e infermieri per garantire il futuro ed abolire il tetto di spesa per l’assunzione del personale lasciando alle aziende la possibilità di investire nelle risorse umane nei settori più critici e di contrattare con i singoli professionisti una quota di retribuzione variabile che aumenti in modo significativo la retribuzione. L’idea potrebbe essere quella di rendere possibile un’attività libero professionale di medici e infermieri fuori dall’orario di servizio con prestazioni acquistate dal Ssn nell’interesse dei cittadini per consentirci di sfruttare appieno le strutture e le macchine delle nostre aziende. Perché acquistare all’esterno delle aziende prestazioni che possono essere rese dai nostri professionisti, ridando a ciascuno la possibilità di investire sulla propria professione?” ha dichiarato Giovanni Migliore, Presidente Fiaso.
“Serve inoltre un piano straordinario di recupero delle liste di attesa che possa allo stesso tempo valorizzare i professionisti all’interno del sistema sanitario nazionale. Ecco perché, in un patto di solidarietà tra professionisti e aziende, si potrebbero smaltire visite ed esami fuori dall’orario di servizio e con una retribuzione extra. Una incentivazione fuori busta paga per incarichi extra. Su tutti i turni aggiuntivi e le prestazioni extra destinate a ridurre le liste d’attesa dovrebbe essere ridotta la tassazione attraverso l’introduzione di una flat tax al 15%” ha concluso Migliore.

Case di comunità, Dabbene (Fimmg): «È stato creato prima il contenitore del contenuto, devono avere una funzione di integrazione»

(da fimmg.org)   “Un maggiore coinvolgimento dei medici di medicina generale non passa solo dalla presenza nelle Case di Comunità: in primis perché non è mai stata formalmente decisa né normata all”interno delle strutture. Abbiamo solo una indicazione di massima nel DM77 e nel PNRR ma è facilmente intuibile che la risposta alla prossimità non possa essere quella di compattare tutti gli ambulatori dei medici di base in poche strutture, centralizzando un servizio che deve essere invece sparso capillarmente su tutto il territorio”. Lo ha detto Alessandro Dabbene, vicepresidente nazionale Fimmg, intervistato dal sito web https://trendsanita.it sul tema delle Case di Comunità.

“È stato creato prima il contenitore del contenuto – ha aggiunto Dabbene -. Tranne nei pochi casi in cui c”è stata la volontà individuale di alcuni medici di famiglia di trasferire totalmente il proprio studio all”interno delle Case di Comunità, non è pensabile chiedere a tutti i medici di famiglia di lasciare i propri ambulatori, licenziare il personale di segreteria che ci lavora, e trasferirsi lontano dai propri assistiti”.

Da sempre la Fimmg sostiene che “la Casa di Comunità debba avere una funzione di integrazione, per fare da filtro fra i propri studi e gli ospedali. La mancanza di fondi in più ha fatto sì che la presenza dei medici di famiglia sia ancora minoritaria e resti il frutto di una scelta individuale. Entro il 2026 bisognerà arrivare ad una soluzione collettiva più definita”.

“Secondo noi la soluzione è da cercare più nelle nuove tecnologie e nella telemedicina che non nella presenza fisica”, ha aggiunto il vicepresidente della Fimmg, da anni impegnato personalmente in un progetto di “gestione integrata del diabete” che prevede visite a tre con medico di famiglia e specialista nello studio del medico di base, senza che sia il paziente a doversi spostare.

“In Spagna sono in corso sperimentazioni che prevedono che sia lo specialista ad andare nello studio del medico di base a visitare il paziente – ha proseguito Dabbene -. Insomma, le soluzioni possono essere molte e non passano necessariamente da un raccordo organizzativo ma soprattutto da uno funzionale”.

“Il problema dell”aggregazione territoriale fra gli studi dei medici di base è già stato risolto con la legge del 2012 siglata dal Ministro Renato Balduzzi nell”allora governo di Mario Monti – ha spiegato Dabbene -: poi tutto si è fermato fino alla firma dell”accordo fra i sindacati dei medici di medicina generale con le Regioni nel 2022 in cui è stata definita l”Aggregazione Funzionale Territoriale, atta a garantire l”assistenza dei medici di basi sia di giorno che di notte, 7 giorni su 7, con una organizzazione che raggruppa gli studi medici che lavorano ogni 30 mila abitanti”.

Menzionando l”accordo fra medici di famiglia e Regioni, il vice nazionale di Fimmg ha sottolineato come questo sia la prova del fatto che non saranno le Case di Comunità a risolvere il problema di una maggior copertura sanitaria della medicina di base, che risultano essere quindi un di più che, da questo punto di vista, deve ancora trovare una sua diretta collocazione.

“Attualmente non vi è alcuna norma che obblighi o incoraggi i medici di famiglia a spostarsi dai propri studi professionali agli ambulatori delle Case di Comunità – ha concluso Dabbene -. I medici di base vogliono restare quello che sono, liberi professionisti convenzionati che in quanto tali possono decidere di lavorare con autonomia e senza essere inquadrati in una struttura al pari di altro personale subordinato”.

PNRR. Dalla Commissione Ue ok a revisione del Piano italiano. Dalle Case di Comunità alla Telemedicina ecco cosa cambia per la sanità

(da Quotidiano Sanità)  a Commissione ha espresso oggi una valutazione positiva del piano per la ripresa e la resilienza modificato dell’Italia comprendente il capitolo dedicato a REPowerEU. Il piano ammonta ora a 194,4 miliardi di € (122,6 miliardi di € in sovvenzioni e 71,8 miliardi di € in prestiti) e comprende 66 riforme, sette in più rispetto al piano originario, e 150 investimenti.

Modifiche anche per la sanità. In primis sull’assistenza territoriale dove le Case di Comunità da realizzare con i fondi europei scendono da 1.450 a 1.038. Riduzioni anche per gli Ospedali di Comunità che passano da 400 a 307 e le Centrali Operative territoriali che da 600 scendono a 480. Il taglio come ha più volte spiegato il Ministero si ero reso necessario sia per l’aumento dei costi che per le molte difficoltà burocratiche per la realizzazione delle strutture. Il Ministero ha in ogni caso assicurato che anche le strutture fuori dal finanziamento e dal timing del Pnrr saranno costruite con altri fondi come ad esempio quelli sull’edilizia sanitaria.
“Alla luce delle modifiche proposte dall’Italia – scrive la Commissione europea -, la Missione 6 continua a rafforzare la prossimità servizi e digitalizzazione del sistema sanitario nazionale. L’obiettivo delle proposte di modifica deve tener conto delle circostanze oggettive previste quali l’inflazione e sviluppi nazionali imprevisti”.

Per quanto riguarda l’obiettivo al 2026 per i pazienti da assistere al domicilio: dovranno essere 842 mila gli over 65 che da assistere. Più ambizioso diventa il progetto per la telemedicina: saranno 300 mila le persone da assistere entro il 2025 invece delle 200 mila originariamente previste. Viene poi posticipato di due anni (da fine 2024 a fine 2026) l’operatività di 3.100 nuove apparecchiature diagnostiche.

Viene poi ridotto da 7.700 a 5.922 il numero di posti letto di terapia intensiva e sub intensiva da realizzare entro giugno 2026. Scendono poi da 109 a 84 gli interventi antisismici nelle strutture ospedaliere al fine di allinearle alle norme antisismiche.

Previsto poi che almeno il 90% di 250 mln di euro vengano erogati per progetti finalizzati a ristrutturare e ammodernare gli ospedali relativi agli Accordi di Programma ai sensi dell’articolo 20 L. 67/88, e condotto dal Ministero della Salute con la rispettiva Regione. Viene fissata all’85% la soglia dei medici di medicina generale che entro il 2025 siano in grado di alimentare il fascicolo sanitario elettronico

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