Batteri responsabili della parodontite possono scatenare il cancro

(da Dental Tribune)   Una ricerca in Finlandia ha indagato il ruolo svolto nello sviluppo del cancro orale e di altri tipi, da un batterio fortemente connesso alla parodontite. In una seconda ricerca è stato scoperto anche un collegamento tra parodontite e mortalità da cancro.  La prima ricerca ha dimostrato per la prima volta l’esistenza di un meccanismo a livello molecolare attraverso il quale un batterio associato alla parodontite, il Treponema denticola, può anche contribuire alla genesi del cancro. Il fattore di virulenza primario del T. denticola, chimotripsina come proteinasi, si verifica anche nei tumori maligni del tratto intestinale, per esempio nel cancro del pancreas. Secondo un’altra ricerca, l’enzima ha la capacità di attivare quelli che le cellule tumorali usano per invadere i tessuti sani. Allo stesso tempo, la proteinasi diminuisce l’efficacia del sistema immunitario attraverso, ad esempio, l’inattivazione di molecole note come inibitori enzimatici.  Nella seconda ricerca è stato provato che la parodontite è chiaramente associata alla mortalità da cancro nella popolazione. È stato riscontrato un legame particolarmente forte con la mortalità da cancro del pancreas. Circa 70.000 finlandesi hanno preso parte a questa ricerca basata su un follow-up decennale.  «È stato dimostrato per la prima volta che i fattori di virulenza dei batteri patogeni centrali alla base della patologia gengivale sono in grado di diffondersi dalla bocca ad altre parti del corpo, molto probabilmente in unione coi batteri, prendendo parte al meccanismo di distruzione tissutale correlato al cancro» dichiara il Prof. Timo Sorsa dell’Università di Helsinki.  I ricercatori hanno concluso che un basso grado di infiammazione sistemica legato alla parodontite agevola la diffusione di batteri orali e dei loro fattori di virulenza verso altre parti del corpo, sottolineando l’importanza della prevenzione e della diagnosi precoce della parodontite per la salute orale dei pazienti e per il loro benessere generale, «comportamenti che nel lungo periodo non possono che essere estremamente redditizi per la società» dice Sorsa. Le ricerche sono state effettuate da Gruppi guidati da Sorsa, da Cai Haglund, Jari Haukka e Jaana Hagström dell’Università di Helsinki.  Il primo studio, intitolato “Treponema denticola chymotrypsin-like proteinase may contribute to orodigestive carcinogenesis through immunomodulation”, è stato pubblicato online il 16 Novembre 2017 sul British Journal of Cancer. Il secondo, intitolato “Periodontitis and cancer mortality: Register-based cohort study of 68.273 adults in 10-year follow-up”, è stato pubblicato online sul International Journal of Cancer l’11 Gennaio 2018. Studi ulteriori sono già in corso all’University of Helsinki e al Karolinska Institutet.

Vaccini, bimba non immunizzata si ammala di tetano. Genitori indagati per lesioni colpose

(da Doctor33)   Lesioni personali colpose. È questa l’accusa per i genitori della bambina di 7 anni, ricoverata all’Ospedale Infantile Regina Margherita di Torino per aver contratto il tetano. La piccola, nata nel 2010, non era stata vaccinata mentre i genitori avrebbero dovuto vaccinarla come stabilito dal ministero della Salute: un” ciclo di base di 3 dosi nel primo anno di vita e un richiamo all’età di 6″. La bimba, ricoverata nell’ottobre scorso prima nel reparto di Terapia intensiva, poi in quello di Rianimazione, è stata dimessa il 7 novembre. La querela per “lesioni personali colpose” è in mano al procuratore aggiunto Vincenzo Pacileo, che ha iscritto i genitori della bambina nel registro degli indagati. Pacileo ha disposto una consulenza tecnica per determinare la presenza di un nesso di causalità tra la mancata vaccinazione e la successiva “reazione patologica” e per valutare le attuali condizioni della piccola. È stato inoltre scoperto che anche il fratello minore non è stato vaccinato. I genitori si sono difesi, affermando di essere persone “ragionevoli” e di avere sempre avuto a cuore la salute dei figli. Adesso dovranno convincere anche il magistrato che è così.

Sul pagamento delle certificazioni INAIL serve chiarezza

(da M.D.Digital)    I medici vogliono chiarezza sul pagamento delle certificazioni Inail: “Non possiamo accettare – scrivono Anaao Assomed e Cimo al Direttore Generale dell’Inail – che per assurdo l’Istituto incassi i contributi senza pagare chi fornisce il relativo servizio di certificazione, né che Inail si sottragga ad un preciso obbligo contrattuale. Occorre, pertanto, sanare questa delicata vicenda, che sta privando il personale medico dell’emergenza del riconoscimento economico spettante per una attività aggiuntiva ai compiti istituzionali, in un momento avaro di riconoscimenti economici per la categoria tutta, a fronte di progressivo peggioramento delle condizioni di lavoro, e particolarmente penalizzante i medici che lavorano nei Pronto soccorso”.  Anaao Assomed e Cimo oltre a chiedere un incontro ai vertici dell’Istituto, sollecitano anche l’intervento del Ministro della Salute, nel suo ruolo di organo vigilante sulla attività dell’Inail, per garantire il rispetto della dignità del lavoro dei medici e degli obblighi contrattuali sottoscritti.
A tale proposito ricordiamo che nel 2016 è entrato in vigore il decreto legge semplificazioni 151/2015 che obbliga tutti i medici a fare il certificato di apertura dell’infortunio – siano essi di Pronto soccorso, di medicina generale, di continuità assistenziale e competenti, convenzionati o meno – ove siano loro per la prima volta a prestare assistenza al paziente vittima di infortunio. L’attestazione medica che certifica l’evento morboso, infatti, non deve più essere trasmessa dal datore di lavoro ma dal medico certificatore o dalla struttura sanitaria che effettua la prima assistenza al lavoratore che si è infortunato o è malato a seguito di una malattia professionale o causa di servizio.

Rischio cardiovascolare, anche fumare poco espone a pericolo

da Doctor33)   Chi fuma una sola sigaretta al giorno ha circa la metà del rischio di malattia coronarica e ictus rispetto a chi ne fuma 20, quindi si espone a un pericolo molto maggiore di quanto si possa pensare, secondo una revisione pubblicata sul British Medical Journal. «I fumatori dovrebbero smettere completamente di fumare invece di ridurre la quantità di sigarette per far diminuire significativamente il rischio di malattie cardiache e ictus. Queste informazioni potrebbero essere particolarmente utili all’inizio di un nuovo anno, quando è probabile che molti fumatori si impegnino per smettere di fumare o per fumare di meno» afferma Allan Hackshaw dello UCL Cancer Institute allo University College di Londra, che ha guidato il gruppo di studio. In passato singoli studi hanno riportato che fumare solo da una a cinque sigarette al giorno fosse associato a un rischio più elevato del previsto di malattie cardiache.   Per approfondire l’argomento, i ricercatori hanno analizzato i risultati di 141 studi e stimato i rischi relativi al fumo di una, cinque o 20 sigarette al giorno. I risultati hanno mostrato che gli uomini che fumavano una sigaretta al giorno avevano il 46% di eccesso di rischio di malattie cardiache e il 41% di eccesso di rischio relativo rispetto al fumo di 20 sigarette al giorno, molto più alto del 5% che poteva essere previsto a partire da una semplice associazione lineare. Nel caso delle donne, quelle che fumavano una sigaretta al giorno avevano il 31% di eccesso di rischio di malattie cardiache e il 34% di eccesso di rischio di ictus, sempre rapportato al consumo di 20 sigarette al giorno. «Abbiamo dimostrato che una grande percentuale del rischio di malattia coronarica e di ictus deriva dal fumare anche solo un paio di sigarette al giorno. Questo probabilmente rappresenta una sorpresa per molte persone, ma esistono anche meccanismi biologici che aiutano a spiegare il rischio inaspettatamente elevato associato a un basso livello di fumo.   La malattia cardiovascolare, non il cancro, costituisce il maggiore rischio di mortalità da fumo, con circa il 48% dei decessi prematuri dovuti al fumo» concludono gli autori. In un editoriale di accompagnamento, Kenneth Johnson, dell’Università di Ottawa in Canada, delinea le principali implicazioni per la salute pubblica di questi risultati: «Solo la completa cessazione del fumo è protettiva e questo fatto dovrebbe essere sottolineato da tutte le misure e le politiche di prevenzione. Il messaggio da portare a casa per i fumatori è che “qualsiasi esposizione al fumo di sigaretta è troppo”» conclude l’editorialista.
(BMJ 2018. Doi: 10.1136/bmj.j5855   http://www.bmj.com/content/360/bmj.j5855 
BMJ 2018.
 Doi: 10.1136/bmj.k167   http://www.bmj.com/content/360/bmj.k167  )

 

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