Test pre-vaccinali, da Fnomceo indicazioni tecniche per supportare Mmg e pediatri

(da https://portale.fnomceo.it)    Faccio seguito una serie di comunicazioni relative a richieste di esami diagnostici che vengono presentate ai pediatri e ai medici di medicina generale da parte di genitori contrari alle vaccinazioni.   Al fine di supportare i colleghi che si trovano a fronteggiare tali episodi, peraltro sempre più ricorrenti, ritengo opportuno fornire le seguenti indicazioni tecniche, formulate a seguito di un diretto confronto con la competente Direzione generale della prevenzione del Ministero della salute.
In via preliminare, e per fugare ogni non giustificata resistenza alle pratiche vaccinali, ricordo che allo stato attuale delle conoscenze, la richiesta di esami di laboratorio ovvero di altri accertamenti diagnostici da eseguire di routine prima della vaccinazione non ha alcuna giustificazione tecnico-scientifica. Perché siano individuate situazioni di rischio reali, è sufficiente che il pediatra/medico curante svolga le proprie valutazioni sulla base della documentazione medica del minore e che i servizi vaccinali effettuino l’anamnesi pre-vaccinale, anche sulla scorta delle informazioni fornite dai genitori/tutori/affidatari, oltreché attenendosi alla Guida alle controindicazioni, menzionata nella circolare del Ministero della Salute del 16 agosto 2017
Allo scopo, ricordo che nella locuzione “test pre-vaccinali” rientrano:
a) test che hanno lo scopo di constatare se un soggetto presenti una situazione patologica tale da rappresentare una controindicazione alla vaccinazione;
b) test che avrebbero lo scopo di identificare nel candidato alla vaccinazione, che è in condizione di buona salute, una ipotetica predisposizione ad una reazione avversa alla vaccinazione;
c)  test atti a verificare se il soggetto abbia acquisito una immunità naturale permanente da pregressa malattia, in ragione della quale la vaccinazione risulta superflua.

Riguardo ai test di cui alla lettera a), non si può non richiamare la già citata Guida alle controindicazioni, adottata e periodicamente aggiornata dal Ministero della salute e dall’Istituto superiore di sanità, che fornisce agli operatori impegnati nella offerta attiva e nella effettuazione delle vaccinazioni tutti gli strumenti utili a valutare le situazioni che si discostano dalla normale pratica quotidiana. Si tratta, in ogni caso, di condizioni cliniche definite estremamente rare, molte delle quali già diagnosticate, e quindi note al medico curante, già prima della vaccinazione.
Con riferimento ai test di cui alla lettera b), si rappresenta che alcuni anti-vaccinisti sostengono la necessità di effettuare su tutti i bambini, prima delle vaccinazioni, uno screening genetico, che consentirebbe di riconoscere preventivamente e, di conseguenza, di tutelare quelli a rischio di reazioni avverse. In particolare, tale raccomandazione deriverebbe dal rischio di “slatentizzare” patologie autoimmuni o allergiche per le quali si avrebbe un rischio aumentato, in presenza di un aplotipo HLA ritenuto, appunto, “a rischio” per le stesse.
Si sottolinea, al riguardo, che né l’Organizzazione Mondiale della Sanità né altre Istituzioni di rilievo scientifico a livello internazionale raccomandano l’effettuazione di test pre-vaccinali di tale tipo.
Inoltre, nessuna delle più importanti società scientifiche europee o americane suggerisce attualmente di sottoporsi a test genetici prima di effettuare le vaccinazioni. In particolare, questa prassi non viene neppure presa in considerazione nell’ultima edizione del Red Book (Rapporto del Committee on Infectious Diseases) che è il principale testo di riferimento per chi lavora in ambito vaccinale.
Riguardo al test di cui al punto c), nel ribadire che non tutte le malattie per le quali è stato introdotto l’obbligo vaccinale conferiscono immunità permanente (cfr. circolare del Ministero della salute del 16 agosto 2017), si evidenzia che la vaccinazione di un soggetto che aveva già contratto la malattia naturale non rappresenta assolutamente un rischio aggiuntivo per la sua salute, atteso che la pregressa malattia non costituisce una controindicazione per nessuna vaccinazione. La vaccinazione, infatti, rappresenta solo uno stimolo immunitario che potenzia ulteriormente la capacità di risposta a una potenziale esposizione all’agente patogeno.

Il Presidente Roberta Chersevani

 

Studio medico: requisiti autorizzativi e di accessibilità

(da Univadis – a cura di Mauro Marin – Direttore di Distretto – Pordenone – aas5 Friuli Occidentale)

Il Consiglio di Stato sezione III° con sentenza n.1382/2017 ha affermato che sulla base della legislazione statale e regionale lo studio medico non attrezzato per l’attività chirurgica non richiede autorizzazione per la sua apertura.  Allo studio del medico di medicina generale non si applica la normativa in merito all’autorizzazione del Sindaco per l’idoneità igienico-sanitaria, né appare essenziale l’eliminazione delle barriere architettoniche in quanto non indispensabile al corretto esercizio dell’attività assistenziale poiché ai sensi dell’art.47 dell’ACN e già dell’art. 33, comma 1, DPR 270/2000 il medico di medicina generale è tenuto a prestare le proprie cure al domicilio dell’assistito su chiamata qualora esso sia non trasportabile o non deambulabile (allegato G e H al DPR n.270/2000).

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Prescrizione inopportuna di antibiotici, interventi di riduzione da considerare nel lungo periodo

(da Doctor33)   Ott 2017   Secondo una ricerca pubblicata su Jama, gli interventi comportamentali volti a limitare la prescrizione inappropriata di antibiotici per le infezioni respiratorie acute negli ambulatori hanno successo, ma gli effetti positivi rischiano di scomparire già nei 12 mesi successivi alla loro interruzione. «La prescrizione antibiotica inadeguata contribuisce allo sviluppo di resistenza e porta a eventi avversi. Il nostro studio randomizzato ha valutato tre interventi comportamentali destinati a ridurre tale abitudine, e ha poi esaminato la persistenza degli effetti 12 mesi dopo aver interrotto gli interventi» spiega Jason Doctor, della University of Southern California di Los Angeles, co-autore della research letter. I ricercatori hanno coinvolto 47 ambulatori di assistenza primaria a Boston e a Los Angeles (per un totale di 248 medici) che sono stati randomizzati per ricevere 1, 2 o 3 interventi nell’arco di 18 mesi. Un quarto gruppo non sottoposto a interventi è servito da controllo. Tutti i medici hanno ricevuto informazioni sulle linee guida per la prescrizione di antibiotici. Due degli interventi comportamentali, entrambi applicati attraverso la cartella clinica elettronica, si attivavano quando il medico prescriveva antibiotici per una infezione respiratoria acuta: uno consisteva in un messaggio automatico che offriva suggerimenti su trattamenti non antibiotici, il secondo richiedeva ai medici di immettere una giustificazione a testo libero per la prescrizione. Il terzo intervento è consistito nell’invio di messaggi mensili che mostravano al medico la propria collocazione nella “classifica” basata sul tasso di prescrizione inappropriata di antibiotici, invitandolo a confrontarsi con i colleghi. L’intervento con richiesta di giustificazione e quello con confronto tra pari hanno avuto un risultato significativo di riduzione delle prescrizioni.  Nei 12 mesi successivi alla fine dell’esperimento, però, il tasso medio di prescrizioni inappropriate è salito dal 6,1% al 10,2% nel gruppo cui era stato chiesto di spiegare la propria prescrizione, e dal 4,8% al 6,3% nel gruppo invitato al confronto tra pari. Quest’ultimo rimaneva nel complesso su un tasso medio inferiore a quello registrato dal gruppo di controllo, mentre il primo gruppo faceva peggio. «Queste conclusioni suggeriscono che le istituzioni che valutano gli interventi comportamentali per influenzare la decisione clinica dovrebbero prendere in considerazione la loro applicazione a lungo termine» concludono gli autori.   (Jama. 2017. doi:10.1001/jama.2017.11152
https://jamanetwork.com/journals/jama/article-abstract/2656800)

Il consumo di caffè è stato associato ad un rischio ridotto di morte per varie cause

(da Cardiolink)  Queste sono le conclusioni a cui sono giunti i ricercatori di 10 paesi europei coordinati da Marc J. Gunter e Neil Murphy. Non essendo chiara la relazione tra consumo di caffè e la mortalità in varie popolazioni europee con metodi di preparazione variabile del caffè, i ricercatori hanno voluto esaminare se il consumo di caffè è associato a mortalità per tutte le cause o a una mortalità per una causa specifica. È stato eseguito uno studio di coorte prospettico in 10 paesi europei. Sono stati arruolati 521.330 persone nell’EPIC (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition). L’Hazard Ratio (HRs) e l’IC 95% sono stimati utilizzando modelli multicondizionati di rischio proporzionale di Cox.

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Fibrillazione atriale, l’uomo colpito dieci anni prima della donna

(da M.D.Digital)  Il sesso maschile, se destinato a sviluppare la fibrillazione atriale, viene colpito dalla patologia molto in anticipo rispetto alla donna, esattamente una decade prima; e l’essere obeso costituisce il principale fattore di rischio. Se non trattata la fibrillazione atriale aumenta il rischio di morte per cause cardiache e di cinque volte quello di ictus. È dunque fondamentale capire meglio quali sono i fattori predisponenti per questa condizione patologica poiché, se correttamente indirizzate, le strategie preventive consentirebbero di ridurre notevolmente l’impatto dei casi fibrillazione atriale di nuova insorgenza e i rischi ad essa connessi.

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Cumulo pensione per i professionisti: i passaggi da seguire

(da DottNet e Ilsole24Ore)  La circolare 140/2017 dell’Inps c’è ed è stata pubblicata lo scorso 12 ottobre, ma non si può ancora accedere alla pensione cumulando i contributi versati in una delle Casse di previdenza dei professionisti con quelli accantonati in altre gestioni.

I passaggi mancanti
L’Inps, infatti, ha chiarito principalmente, riporta il Sole24ore, alcuni aspetti relativi alle sue modalità di calcolo e di liquidazione della pensione, in particolare quella di vecchiaia ma, sottolinea Alberto Oliveti, presidente Adepp (l’associazione che riunisce la maggior parte delle Casse) e dell’Enpam, la cassa dei medici, «manca tutta la parte operativa. L’ente che istruisce la pratica deve acquisire dagli altri enti coinvolti i periodi contributivi validi ai fini del cumulo e poi deve verificare che il lavoratore abbia effettivamente raggiunto i requisiti. Noi finora abbiamo istruito le domande sulla base dei dati in nostro possesso e abbiamo trasmesso la documentazione all’Inps via pec, però non abbiamo avuto ancora alcun riscontro. Del resto non è pensabile scambiarsi i dati in questo modo e fare i calcoli a mano: serve una procedura informatica che permetta a tutti gli enti di previdenza di condividere le informazioni sui periodi contributivi e che permetta di gestire la pratica in maniera automatizzata, in analogia con quanto già fatto per la totalizzazione. 

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