Le relazioni virtuali riducono il nostro benessere

(da M.D.Digital)   Rimanere troppo a lungo connessi ai social network compromette il livello di benessere delle persone: lo afferma uno studio condotto da due ricercatori americani, pubblicato sulla rivista Harvard Business Review, che hanno confrontato il comportamento di un gruppo di individui che preferivano una relazione con altre persone con il tramite di Facebook rispetto a quando la relazione avveniva nella vita reale. In particolare, è stato chiesto a ogni intervistato di indicare fino a quattro amici con cui aveva discusso questioni importanti e fino a quattro amici con cui aveva passato del tempo libero.  La ricerca è stata condotta su 5.208 adulti: ne sono state analizzate le attività compiute su Facebook nell’arco di due anni e le risposte a un questionario sulle loro relazioni sociali. Lo studio è stato condotto su diversi aspetti psicosomatici, quali la soddisfazione, il benessere mentale, il benessere fisico, e la massa corporea. I risultati mostrano che mentre le relazioni sociali reali aumentano il benessere, quelle effettuate solamente su Facebook lo fanno diminuire. E questo vale soprattutto per la salute mentale. La sensazione dei due ricercatori, è che il malessere provenga soprattutto dal confronto che si fa con la vita degli altri attraverso quanto viene diffuso sul social. Solitamente, infatti, si tende a postare gli aspetti più belli o goliardici della propria esistenza, dalle feste con gli amici alle vacanze in posti esotici e simili.
L’esposizione alle immagini curate con attenzione della vita degli altri porta a un confronto negativo, e l’enorme quantità di interazione con i social media può sminuire esperienze di vita reale più significative, sostiene il rapporto. L’effetto negativo di Facebook sul benessere psicologico tuttavia non è dovuto tanto a cosa vi si faccia di preciso, ma a quanto lo si usa. I risultati, hanno concluso i ricercatori, suggeriscono che la natura e la qualità di questa sorta di connessione non è un sostituto per l’interazione con il mondo reale di cui abbiamo bisogno per una vita in salute.  Precedenti ricerche avevano dimostrato che l’uso dei social media può compromettere le relazioni sociali, riduce il tempo investito in attività significative, aumenta i comportamenti sedentari incoraggiando il tempo trascorso davanti a uno schermi, conduce a dipendenza da internet, ed erode l’autostima attraverso confronto con situazioni che appaiono più belle e più soddisfacenti delle proprie.
(Shakya HB, Christakis NA. A New, More Rigorous Study Confirms: The More You Use Facebook, the Worse You Feel. https://hbr.org/2017/04/a-new-more-rigorous-study-confirms-the-more-you-use-facebook-the-worse-you-feel)

Aifa raccomanda di non prescrivere paroxetina a bambini e adolescenti

(da http://www.aifa.gov.it)   L’Agenzia Italiana del Farmaco ritiene utile richiamare l’attenzione dei medici prescrittori circa l’utilizzo dei medicinali antidepressivi ed in particolare sulla pericolosità in bambini ed adolescenti.  Si ricorda che nelle informazioni relative a questi medicinali (Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto e Foglio Illustrativo) è stato segnalato che la paroxetina non deve essere usata per il trattamento di bambini e adolescenti al di sotto dei 18 anni di età per mancanza di significativi dati di efficacia a fronte di un aumentato rischio di comportamento suicidario e atteggiamento ostile.

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Legge obbligo vaccini: ecco le nuove norme, ma è assurdo potersi sottrarre pagando una multa.

(da M.D.Digital e DottNet)  “L’obbligo delle vaccinazioni nei sistemi collettivi è un obbligo civile. È assurdo potersi sottrarre pagando una multa”. È quanto sottolineano in un comunicato stampa congiunto Fimmg, Sip, Fimp e Siti. “Così, dunque, un antivaccinista con un buon reddito potrebbe, pagando una sanzione, non vaccinare i propri figli esponendo loro e gli altri al rischio di essere infettati. Appare una soluzione surreale.

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La dieta iposodica è davvero sempre salutare?

(da M.D.Digital)  Così si è sempre pensato ma alcuni dati sembrano suggerire che, in realtà, uno stretto controllo delle quantità di alimenti salati che vengono consumati non sia così utile e benefica per la salute cardiovascolare. A lanciare il provocatorio messaggio è un recente studio, che un gruppo di epidemiologi dell’Università di Boston ha presentato al congresso annuale dell’ American Society for Nutrition di recente conclusosi a Chicago. Secondo le parole di uno degli autori dello studio, Lynn Moore, professore associato alla Boston University School of Medicine, i partecipanti a uno studio a lungo termine non hanno ricavato vantaggi, in termini di riduzione della pressione arteriosa o del rischio di sviluppare malattie cardiache, da una dieta a basso contenuto di sodio.

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