Covid. Iss: “Per chi non si è mai vaccinato e non ha mai contratto il virus rischio di infezione fino a 31 volte maggiore rispetto a chi ha avuto un’infezione. Rischio maggiore anche per i vaccinati che non si sono mai infettati”

Inoltre a parità di fascia di età e di condizione di pregressa infezione, in tutte le classi di età > 12 anni, si osserva una tendenza alla riduzione del rischio di malattia grave associato alla vaccinazione. Queste le principali conclusioni di un nuovo rapporto dell’Istituto superiore di sanità divulgato oggi che ha stimato il rischio assoluto di infezione da SARS-CoV-2 (sintomatica e asintomatica) e di malattia grave tenendo conto non solo dello stato vaccinale ma anche dell’infezione pregressa  Leggi L’articolo completo al LINK

Verso un SSN selettivo ?

(da M.D.Digital)   Questa è la strada su cui si è incamminato il nostro Ssn secondo quanto evidenziato dal 18/mo Rapporto Sanità del Centro per la Ricerca Economica Applicata in Sanità (Crea) dell’Università di Roma Tor Vergata, presentato di recente al Cnel. Al finanziamento della sanità pubblica italiana mancano almeno 50 miliardi per avere un’incidenza media sul Pil simile agli altri Paesi europei e nel frattempo cresce la spesa sanitaria privata che, in media, arriva a a oltre 1.700 euro a famiglia. Se non si interviene, secondo i curatori del Rapporto, si dovrà passare da un Servizio Sanitario Nazionale universalistico a uno basato “su una logica di universalismo selettivo, che privilegi l’accesso dei più fragili”.
Secondo il Rapporto, nel 2021 il finanziamento pubblico si ferma al 75,6% della spesa contro una media EU dell’82,9% e la spesa privata incide per il 2,3% sul Pil contro una media EU del 2% (pari, appunto, a oltre 1.700 euro a nucleo familiare) ‘scaricando’ sulle famiglie, ad esempio, oltre un miliardo di spesa per farmaci.
Le cause vanno cercate nei due decenni precedenti. La spesa sanitaria pubblica dal 2000 al 2021, in Italia, è cresciuta del 2,8% medio annuo, il 50% in meno che negli altri Paesi EU di riferimento. E nel 2021 quella del nostro Paese registra una forbice del -38% rispetto ai nostri ‘vicini’. Per recuperare il passo degli altri Paesi servirebbe, quindi, una crescita annua del finanziamento di almeno 10 miliardi di euro per 5 anni. “Nei documenti di finanza pubblica – commentano i curatori del Rapporto, Federico Spandonaro, Daniela D’Angela e Barbara Polistena – sono previsti meno di 2 miliardi di euro per anno, quindi circa un settimo del necessario per il riallineamento”. Se non si interviene, si dovrà passare da un Servizio sanitario nazionale universalistico a uno basato “su una logica di universalismo selettivo, che privilegi l’accesso dei più fragili”.
Va sottolineato che per allinearsi al livello di altri Paesi europei di riferimento, in Italia mancano all’appello 30.000 medici e 250.000 infermieri. Per colmare questa carenza, il nostro Paese dovrebbe investire 30,5 miliardi di euro, tenendo conto del maggiore bisogno di personale sanitario causa dell’età media più alta della popolazione italiana.
In Italia, nella sanità pubblica, ci sono 3,9 medici per 1.000 abitanti contro i 3,8 della media di Francia, Germania, Regno Unito e Spagna: ma, correggendo per l’età media della popolazione (in riferimento all’elevata presenza di over 75 nel nostro Paese rispetto ad altri), a mancare sarebbero 30.000 medici. Mettendo in conto i circa 12mila medici che vanno in pensione ogni anno, per colmare il gap se ne dovrebbero assumere almeno 15mila ogni anno per i prossimi 10 anni.
Per gli infermieri il problema è ancora più eclatante: ne abbiamo 5,7 per 1.000 abitanti contro i 9,7 dei Paesi EU: la carenza supera le 250mila unità rispetto ai parametri europei e, comunque, solo per attuare il modello disegnato dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, ne servirebbero 40-80.000 in più. E poco è l’aiuto dall’estero: arrivano in Italia meno del 5% degli infermieri contro il 15% nel Regno Unito e il 9% in Germania; meno dell’1% dei medici a fronte del 10% degli altri paesi.
Vista la carenza di vocazione, la soluzione sarebbe offrire loro condizioni economiche attrattive. Invece, i medici italiani, guadagnano in media il 6% in meno dei colleghi europei e gli infermieri il 40% in meno. “Senza risorse e senza personale sanitario  – scrivono gli autori del Rapporto – è impossibile ‘sanare’ il 65% di prestazioni perse durante la pandemia, di cui hanno sofferto soprattutto i grandi anziani”.
Questa è la strada su cui si è incamminato il nostro Ssn, secondo quanto evidenziato dal 18/mo Rapporto Sanità del Centro per la Ricerca Economica Applicata in Sanità (Crea) dell’Università di Roma Tor Vergata, presentato di recente. Al finanziamento della sanità pubblica italiana mancano almeno 50 miliardi per avere un’incidenza media sul Pil simile agli altri Paesi europei e nel frattempo cresce la spesa sanitaria privata delle famiglie. Se non si interviene, secondo i curatori del Rapporto, si dovrà passare da Ssn universalistico a uno basato “su una logica di universalismo selettivo, che privilegi l’accesso dei più fragili”.  Leggi il rapporto completo sotto allegato

Tromboprofilassi post-frattura: serve l’eparina o basta l’aspirina?

(da Univadis – Elena Riboldi)   I risultati di uno studio randomizzato indicano che nei pazienti con fratture agli arti trattate chirurgicamente oppure con fratture pelviche o acetabolari l’aspirina non è inferiore all’eparina a basso peso molecolare (LMWH, dall’inglese low-molecular-weight heparin) nel prevenire eventi fatali.  L’aspirina potrebbe quindi essere una valida alternativa per la tromboprofilassi in questa popolazione di pazienti e una scelta potenzialmente vantaggiosa sotto diversi punti di vista.

Perché è importante   I soggetti che subiscono traumi ortopedici hanno un aumentato rischio di tromboembolismo venoso.  Le linee guida raccomandano la somministrazione di eparina a basso peso molecolare per la tromboprofilassi nei pazienti con fratture.  I dati sull’efficacia dell’aspirina per la stessa indicazione scarseggiano.  Rispetto all’eparina, l’aspirina presenta alcuni vantaggi: si somministra per via orale e non per via iniettabile (ciò è più gradito al paziente e favorisce l’aderenza al trattamento), è facilmente reperibile ed è economica.

Come è stato condotto lo studio   Lo studio PREVENT CLOT, finanziato dal PCORI (Patient-Centered Outcomes Research Institute, un’organizzazione no-profit statunitense) e coordinato dall’Università del Maryland e dalla Johns Hopkins University, ha arruolato 12.211 pazienti adulti con fratture agli arti (tra anca e tarso o tra spalla e polso) trattate chirurgicamente oppure con fratture pelviche o acetabolari (con o senza trattamento chirurgico).   I partecipanti sono stati randomizzati (1:1) per ricevere enoxeparina (30 mg sc) o aspirina (81 mg per os) due volte al giorno durante il ricovero; la durata della tromboprofilassi dopo le dimissioni è stata scelta dall’ospedale in base al proprio protocollo.  L’esito primario era la mortalità per ogni causa a 90 giorni.

Risultati principali   La mortalità per ogni causa era simile nei due gruppi (0,78% nel gruppo aspirina e 0,73% nel gruppo LMWH); la differenza percentuale rientrava nei margini di non inferiorità predefiniti (P<0,001).  L’incidenza della trombosi venosa profonda era 2,51% nel gruppo aspirina e 1,71% nel gruppo LMWH (differenza 0,80 punti percentuali; 95%CI 0,28-1,31).  L’incidenza dell’embolia polmonare era 1,49% in entrambi i gruppi.  Le complicanze emorragiche e gli altri eventi avversi gravi erano simili nei due gruppi.

(Major Extremity Trauma Research Consortium (METRC). Aspirin or Low-Molecular-Weight Heparin for thromboprophylaxis after a fracture. N Engl J Med. 2023 Jan 19;388(3):203-213. doi:10.1056/NEJMoa2205973 )

Borello di Cesena: ricerca Medico

IN previsione di apertura Studio Associato di Medicina Generale
previsto per primavera 2023 , cerchiamo Collega di Medicina Generale
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Moderna, pronto vaccino contro virus sinciziale

(da AGI)  Moderna ha annunciato i dati positivi del suo studio per valutare efficacia di fase 3 del suo vaccino ConquerRSV mRNA- 1345, un vaccino mRNA sperimentale mirato al virus respiratorio sinciziale (RSV) negli anziani. A seguito della revisione da parte di un Data and Safety Monitoring Board (DSMB) indipendente, gli endpoint primari di efficacia sono stati raggiunti con un’efficacia del vaccino dell’83,7% contro RSV-associato malattia del tratto respiratorio inferiore (RSV-LRTD) definita da due o più sintomi. Sulla base di questi risultati, Moderna intende sottoporre la domanda di autorizzazione alla FDA nella prima metà del 2023. “I risultati di oggi – ha affermato Stéphane Bancel, amministratore delegato di Moderna – rappresentano un importante passo avanti nella prevenzione delle malattie delle vie respiratorie inferiori dovute a RSV negli adulti di età pari o superiore a 60 anni. Questi dati sono incoraggianti e rappresentano la seconda dimostrazione dei risultati positivi della sperimentazione di fase 3 dalla nostra piattaforma di vaccini contro le malattie infettive mRNA dopo, Spikevax, il nostro vaccino contro il COVID-19. Non vediamo l’ora di pubblicare il set completo di dati e di condividere i risultati in occasione di una prossima conferenza medica sulle malattie infettive”.

“Le malattie respiratorie sono una delle principali priorità di salute pubblica dato che hanno un impatto significativo sulla salute e sono una delle principali cause di ricovero. Per questi motivi, oltre al nostro candidato vaccino mRNA-1345 RSV, ci impegniamo a sviluppare un portafoglio di vaccini a mRNA per colpire i virus più significativi che causano malattie respiratorie, tra cui influenza e metapneumovirus umano”. Lo studio ConquerRSV è uno studio randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo su circa 37.000 adulti di età pari o superiore a 60 anni in 22 paesi, tra cui gli Stati Uniti. Il DSMB ha anche condotto una revisione simultanea dei dati sulla sicurezza disponibili. mRNA-1345 è stato ben tollerato senza problemi di sicurezza identificati. La sicurezza e la tollerabilità continueranno a essere seguite in questo studio in corso. Ad oggi le reazioni avverse più sollecitate sono state lievi o moderate e le reazioni avverse sollecitate più comunemente riportate nel gruppo mRNA-1345 sono state dolore al sito di iniezione, affaticamento, cefalea, mialgia e artralgia. Il tasso complessivo di reazioni avverse sistemiche sollecitate gravi (grado 3 o superiore) è stato del 4,0% per mRNA-1345 e del 2,8% per il placebo. Il tasso complessivo di reazioni avverse locali sollecitate di grado 3 o superiore è stato del 3,2% per mRNA-1345 e dell’1,7% per il placebo. Lo studio è in corso e un’analisi aggiornata della sicurezza e della tollerabilità sarà fornita al momento della presentazione normativa. Moderna presenterà i dati per la pubblicazione peer-reviewed e li presenterà a un prossimo incontro scientifico.

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