Studio sul Covid dell’Ausl Romagna finisce sulla prestigiosa rivista scientifica “Radiology”

(da www.auslromagna.it)  Uno studio della Radiologia dell’Ausl Romagna sul Covid pubblicato sulla prestigiosa rivista statunitense “Radiology”. Firmatari, il dottor Enrico Cavagna (direttore del Dipartimento di Diagnostica per immagini dell’Ausl), primo firmatario, Francesco Muratore e Fabio Ferrari.    I professionisti hanno dimostrato che la tromboembolia polmonare  si osserva frequentemente nei pazienti con polmonite da Covid 19 e coinvolge principalmente le piccole arterie dei segmenti polmonari interessati dalle consolidazioni polmonari. I pazienti con grave polmonite da Covid (rilevabile a seguito di tac e specifiche analisi di laboratorio) sono  quelli più comunemente colpiti dalla tromboembolia polmonare. Questo perchè l’infezione innesca uno stato di ipercoagulabilità del sangue  e un’infiammazione generalizzata. “Pertanto si tratta di trombosi primitiva delle arterie polmonari e non embolia ad origine da trombosi venosa – spiega il dottor Cavagna -. E questo ha importanti ripercussioni sulla terapia e sulla prognosi”.   Uno studio dunque che potrà avere anche importanti ripercussioni pratiche, tanto che “Radiology”, dopo averlo fatto vagliare dai propri revisori, ha optato per la pubblicazione del relativo articolo (consultabile e scaricabile in allegato a questo LINK).  L’Impact Factor di questa rivista (che misura il numero medio di citazioni ricevute in un particolare anno da articoli pubblicati sulla rivista stessa) è  di 7.931, fra i più alti di tutte le riviste di Radiologia mondiali.

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I sei tipi distinti di Covid-19 in base ai sintomi

(da DottNet)   Sulla base dei sintomi e della gravità si possono distinguere ‘sei tipi’ di Covid-19, in base ai quali si può prevedere l’andamento della malattia. Lo afferma uno studio, ancora non sottoposto ad una rivista accademica, messo a punto con i dati di un’app in cui i pazienti dovevano inserire i sintomi accusati. I ricercatori hanno analizzato con un algoritmo i dati forniti dalla applicazione, ricavando sei differenti tipologie di pazienti. Il primo è stato denominato ‘simil influenza senza febbre’, caratterizzato oltre che dai sintomi classici influenzali anche dalla perdita del senso del gusto. Il secondo tipo è ‘similinfluenzale con febbre’ e si distingue dal precedente per la presenza di raucedine e perdita di appetito. Poi c’è il Covid ‘gastrointestinale’, che non ha tosse ma ha sintomi come la diarrea. Oltre a queste tipologie ce ne sono poi tre gravi: quella di livello uno, oltre a molti dei sintomi delle altre, è contraddistinta dalla fatica cronica, la seconda dallo stato confusionale e la terza da sintomi gravi respiratori e addominali. Solo l’1,5% dei pazienti del primo tipo ha bisogno del supporto respiratorio, che serve invece al 20% di quelli del gruppo 6. “Questa scoperta ha implicazioni importanti per la terapia e per il monitoraggio delle persone più vulnerabili al Covid-19 – spiega Claire Steves del King’s College di Londra, l’autrice principale – Se si può predire al quinto giorno di malattia di che tipo di paziente si tratta c’è tempo per un supporto precoce, come il monitoraggio dell’ossigeno nel sangue e dei livelli di zuccheri”.

Covid. l’effetto del lockdown sul picco è stato immediato

(da DottNet)   I Big Data lo confermano, il lockdown ha interrotto la catena di contagi da Covid-19, e l’effetto si è visto in tempi immediati. La prova arriva da uno studio italiano che ha utilizzato i dati di telefonia mobile per analizzare gli spostamenti delle persone nelle regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. Ne è emerso che, tra lo stop a movimenti e l’inizio del calo dei contagi, sono passati dai 9 ai 25 giorni.  Lo studio, pubblicato su ‘EClinicalMedicine’, rivista open access del gruppo Lancet, rappresenta il primo mai effettuato sull’adesione al lockdown in un paese occidentale e il primo in assoluto a stimarne l’effettiva efficacia nell’accorciare il picco epidemico.  I ricercatori del Dipartimento di Scienze Biomediche, Metaboliche e Neuroscienze di Unimore hanno analizzato, su base spaziale e temporale, l’intero patrimonio informativo dei movimenti dei telefoni cellulari, superiori ai 2 km, nelle tre regioni più colpite dal Covid-19. Il tempo trascorso dall’adozione del lockdown dell’8 marzo al picco dell’infezione è stato tanto più breve quanto più radicale è stato l’abbattimento della mobilità: ha oscillato tra 9 giorni nelle province più fortemente colpite, come Cremona o Bergamo, a 25 giorni nelle aree con minor diffusione dell’infezione. Tenuto conto del periodo di incubazione del Sars-Cov-2 (circa 5 giorni) e del ritardo ‘diagnostico’ medio nella comunicazione ufficiale dell’esito del tampone, si può affermare come l’effetto del lockdown sull’interruzione della catena dei contagi sia stato praticamente immediato. “Abbiamo verificato – spiega Marco Vinceti docente di Igiene e Sanità Pubblica presso la Facoltà di Medicina di Unimore – come l’efficacia del lockdown sia stata di fatto istantanea nelle aree più colpite e dove la popolazione ha rispettato in misura maggiore il messaggio ‘state a casa'”.

Moduli per accessi a strutture ospedaliere e nuovi controlli per prevenzione covid

L’Ausl Romagna è al lavoro per recepire e dare applicazione alle indicazioni dell’ultima ordinanza della Regione Emilia Romagna mirata a prevenire e limitare al massimo la diffusione del contagio da Covid 19.

L’ordinanza regionale prevede che le visite ai degenti in ospedale e agli ospiti di strutture residenziali per anziani e disabili, da parte di familiari o altri soggetti, richiedano la presentazione di un’autodichiarazione che attesti di non essere sottoposti al regime della quarantena o dell’isolamento fiduciario, né di essere rientrati da meno di 14 giorni da Paesi esteri di cui sopra. Ciò a tutela della sicurezza sai di chi è accolto in una struttura e dei relativi operatori, sia di chi vi entra.

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Covid-19: Continuano le segnalazioni di danni neurologici

(da M.D.Digital)   Deliri, psicosi, infiammazioni al cervello e anche ictus. Sono i problemi neurologici riscontrati in pazienti lievemente colpiti da Covid-19 o in fase di recupero. L’allarme arriva da uno studio pubblicato su Brain nel quale i ricercatori dell’Institute of Neurology dell’University College London Hospital hanno rivelato un aumento di una condizione pericolosa, l’encefalomielite acuta disseminata (Adem), nei pazienti positivi al coronovirus durante la prima ondata di infezioni che ha colpito la Gran Bretagna. I casi sono aumentati da uno al mese prima della pandemia, a due o tre alla settimana in aprile e maggio, hanno sottolineato i neurologi.   I ricercatori hanno evidenziato come in alcuni di questi pazienti con Adem è possibile scoprire una grave neurologia ma in realtà il soggetto sembra soffrire si un interessamento del polmone. I ricercatori suggerisco  di prestare attenzione  a queste complicanze del coronavirus, con un invito rivolto soprattutto ai medici di base: se osservano nei pazienti problemi cognitivi, vuoti di memoria, affaticamento, intorpidimento o debolezza, dovrebbero discutere il caso con i neurologi.

(Paterson RW, et al. The Emerging Spectrum of COVID-19 Neurology: Clinical, Radiological and Laboratory Findings. Brain 2020; doi: 10.1093/brain/awaa240)

1000 euro, niente detassazione. Medici ancora discriminati

(da enpam.it)  Parlamento e Governo hanno assestato l’ennesimo duro colpo a tutti i medici del nostro Paese che sono stati in prima fila nei drammatici mesi dell’emergenza Covid-19.    La Commissione Bilancio della Camera, per esigenze di tempo, motivazione che appare se possibile ancora più inaccettabile, ha deciso infatti di non esaminare l’emendamento al Dl Rilancio che intendeva detassare i contributi che, con proprie risorse, le Casse previdenziali private hanno erogato a favore dei propri iscritti per far fronte alla crisi seguita all’emergenza Coronavirus.

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Osservasalute 2019.“Covid ha messo a nudo debolezza Ssn. E regionalismo sanitario non si è dimostrato efficace nel fronteggiare pandemia”

Presentato il nuovo rapporto dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane. “Alla vigilia della pandemia da SARS-CoV-2, il sottofinaziamento della sanità, insieme alla devolution che ha di fatto creato 21 diversi sistemi sanitari regionali diversamente performanti, ha determinato conseguenze per i cittadini, che non hanno potuto avere le stesse garanzie di cura”. Tagli ai servizi e spesa out of pocket che aumenta. Leggi l’articolo completo al LINK
http://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=86465&fr=n

Covid-19, niente risarcimenti per Mmg deceduti. Compagnie assicurative escludono infortunio

(da Doctor33)   Le assicurazioni negano il risarcimento ai medici di famiglia vittime di coronavirus e ai loro superstiti. Anche se l’Inail invita a trattare l’infezione da Covid 19 come infortunio sul lavoro, per le compagnie tale non è. L’Inail però con la sua circolare numero 13 del 3 aprile scorso ha circoscritto il diritto a indennizzo Covid ai soli dipendenti tra i lavoratori a rischio, medici ed infermieri esclusi. Nulla c’è per indennizzare il medico convenzionato che è libero professionista. Ceto, si sta discutendo di farlo rientrare perché è parasubordinato e lo stipendio della convenzione è l’85-95% del suo reddito (né può rifiutare le cure a un assistito che lo ha scelto).

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‘Io medico giuro’, campagna Fnomceo su sacrificio e valori durante emergenza Covid

(da Adnkronos Salute) – ‘Io medico giuro’: di curare tutti, senza discriminazione; che avrò cura di te, in ogni emergenza; che ti curerò senza arrendermi mai. Frasi legate ai valori richiamati nel Giuramento e nel Codice deontologico, alla base della campagna lanciata dalla Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e odontoiatri (Fnomceo), al via da oggi sui social e attraverso l’affissione di manifesti 6×3 nelle strade delle principali città italiane. “Valori che vengono messi in pratica sempre, ma che sono diventati drammaticamente evidenti durante l’emergenza Covid-19. Sono più di 170 i medici e gli odontoiatri che hanno perso la vita nel corso dell’epidemia”, come ricorda il portale della Federazione, listato a lutto in loro memoria.

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Test sierologici per Covid-19, sensibilità e specificità fanno ancora discutere

(da Doctor33)   Secondo una revisione della letteratura pubblicata sul British Medical Journal, l’uso dei test sierologici che rilevano gli anticorpi contro Sars-CoV-2 non è supportato da una base di prove solida, e questo è particolarmente vero per i test point-of-care, cioè effettuati al di fuori di un laboratorio. «La comunità scientifica dovrebbe essere lodata per il ritmo con cui sono stati sviluppati nuovi test sierologici, ma la nostra recensione sottolinea la necessità di studi clinici di alta qualità per valutare questi strumenti» afferma Mayara Lisboa Bastos, del McGill University Health Centre di Montreal, e della State University of Rio de Janeiro, primo nome dello studio.     I ricercatori hanno valutato la letteratura disponibile sulla misurazione della sensibilità e della specificità di test anticorpali per Covid-19 rispetto a test di controllo. Su 40 studi idonei, la maggior parte (70%) proveniva dalla Cina, e il resto da Regno Unito, Stati Uniti, Danimarca, Spagna, Svezia, Giappone e Germania. La metà degli studi non era stata sottoposta a peer review, e molti hanno presentato un rischio di parzialità. Solo quattro studi hanno incluso pazienti ambulatoriali e solo due hanno valutato test point-of-care. Ebbene, la sensibilità ha mostrato una variazione compresa tra il 66% e il 97,8% a seconda del metodo di test utilizzato, il che significa che tra il 2,2% e il 34% dei pazienti con Covid-19 non risultavano contagiati. Per quanto riguarda la specificità, essa variava dal 96,6% al 99,7%, a seconda del tipo di test utilizzato, il che significa che tra il 3,4% e lo 0,3% dei pazienti avrebbe ricevuto erroneamente indicazione di aver avuto la malattia. La sensibilità aggregata è risultata costantemente più bassa per i saggi immunoistochimici a flusso laterale (Lfia) rispetto ad altri metodi di test. Gli autori sottolineano che questo fatto assume un certo peso se si pensa che il test Lfia è il metodo point-of-care che viene preso in considerazione per i cosiddetti passaporti di immunità. «Sulla base dei nostri risultati, se un test Lfia venisse applicato a una popolazione con una prevalenza di Covid-19 del 10%, per ogni 1.000 persone testate, a 31 che non hanno mai avuto la malattia verrebbe erroneamente detto che sono immuni, mentre a 34 che avevano avuto Covid-19 verrebbe riferito che non sono mai state infettate» spiegano i ricercatori. La sensibilità aggregata è risultata inferiore con i kit di test commerciali (65%) rispetto ai kit non commerciali (88,2%), e nella prima e seconda settimana dopo l’insorgenza dei sintomi rispetto al periodo successivo alla seconda settimana.
(Bmj 2020. Doi: 10.1136 bmj.m2516   http://dx.doi.org/10.1136 bmj.m2516)

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