Coronavirus. Anaao a Bonaccini: “Tamponi subito ai medici e a tutto il personale sanitario in prima linea”

Il sindacato chiede al presidente della Regione di garantire da subito il controllo dei medici e del personale sanitario. “Abbiamo assistito in questi giorni a troppi indugi ed incertezze che non possono più essere tollerati”. Depositato un esposto all’Ispettorato del lavoro e di Procura della Repubblica affinché le autorità vigilino sulla tutela della salute degli operatori sanitari.  Leggi la notizia completa al LINK

http://www.quotidianosanita.it/emilia_romagna/articolo.php?articolo_id=82649

Ancora su Certificazioni malattia INPS

La comunicazione seguente è stata inviata ieri dalla Direzione INPS Regionale:

Alla luce del DPCM del 17 marzo 2020, e dell’articolo 26 in particolare, siamo in attesa di nuovo messaggio Inps che regolerà la certificazione di malattia in caso di quarantena a causa di COVID-19 e di isolamento fiduciario, nonché della certificazione in caso di patologie croniche associate ed immunosoppressione.

Le indicazioni date fino ad oggi, sono pertanto da considerarsi temporanee, le certificazioni già emesse sono considerate valide, come indica il DPCM all’art. 26, per le indicazioni future siamo in attesa del Messaggio INPS

Nel frattempo, soprattutto per chi viene allontanato dal lavoro a causa di patologie croniche o immunodepressione, non è necessario inserire alcun codice nosologico ma si prega di specificare, in campo diagnosi, ogni dato utile per fare emergere la gravità del quadro clinico.

Si prega di dare la maggior visibilità possibile a tale comunicazione, anche le altre sedi provinciali riceveranno la comunicazione

Grazie per la collaborazione

Dott.ssa Lucia Zanardi

Il testo integrale dell’Art. 26 del DPCM 17/03/2020 è a questo LINK: https://www.notiziedellascuola.it/legislazione-e-dottrina/indice-cronologico/2020/marzo/DL_20200317_18/tit2-cap2-art26

Speriamo, a questo punto che l’INPS Nazionale emani prima possibile un messaggio definitivo, chiaro e dettagliato su quali patologie croniche sono riconducibili alle condizioni dell’ormai ex codice V07, affinché i medici di famiglia possano emettere certificati di malattia corretti per i loro assistiti affetti da patologia cronica e/o immunodepressi con un rischio maggiore di contrarre la malattia da Covid-19

Mascherine, sale la protesta. Con linee guida Iss la salute dei medici non è preservata

(da Doctor33)  Troppo pericolose per il personale sanitario le norme che estendono l’uso di mascherine chirurgiche, senza filtrante, alle situazioni dove il rischio di contagio è elevato: i medici ospedalieri del sindacato Cimo Fesmed chiedono all’Istituto superiore di sanità di modificarle, e di cambiare la legge, e un intervento degli ordini a tutela di tutti i medici italiani. Nel mirino del presidente Cimo Guido Quici, il Rapporto Covid-19 2/2020 dell’Iss che ha consentito al Governo, in particolare nel decreto legge Gualtieri del 2 marzo scorso, di usare mascherine chirurgiche quali dispositivi idonei alla protezione.
Il retroscena – Il decreto consente all’articolo 34 alla Protezione civile di acquistare mascherine chirurgiche in luogo delle mediche e di usare anche mascherine prive del marchio Ce previo ok dell’Istituto superiore di sanità. Quici ricorda che le mascherine chirurgiche, non avendo funzione filtrante in fase inspiratoria, non proteggono dall’inalazione di particelle aeree di piccole dimensioni; invece limitano la diffusione in ambiente di particelle potenzialmente infettanti da parte di chi le indossa, infettivo o potenzialmente tale. L’Organizzazione mondiale della sanità, nelle linee guida del 27 febbraio che sono fonte dell’articolo, permette la sostituzione di mascherine mediche con mascherine chirurgiche. Con un’eccezione: le procedure in cui i pazienti liberano aerosol con le particelle di saliva. Da parte sua, nel Rapporto Covid 2/2020 che traduce le linee guida Oms, l’Iss afferma che, in caso di disponibilità limitata di mascherine Ffp2 e Ffp3 con filtrante, “eÌ possibile programmare l’uso della mascherina chirurgica o del filtrante per assistere pazienti Covid 19 “raggruppati nella stessa stanza, purché la mascherina non sia danneggiata, contaminata o umida”. Alle stesse condizioni, “i filtranti possono essere utilizzati per un tempo prolungato, fino a 4 ore al massimo”. Nella tabella successiva, l’Iss esemplifica poi che la mascherina chirurgica può andare bene se si fa assistenza diretta ai pazienti Covid: se si portano i pasti, si prende la temperatura, etc. E può andar bene anche per eseguire il tampone se non ci sono mascherine con filtrante. Ma non va bene per le procedure che generano aerosol. Infatti, per nebulizzare farmaci, intubare, rianimare, indurre l’espettorato, eseguire broncoscopie e ventilazioni non invasive servono Ffp2 o Ffp3.
Le prese di posizione – Con riferimento al risultato legislativo, Quici è sconcertato: «Che un simile provvedimento sia opera di colleghi medici, non impegnati in prima linea negli ospedali, negli ambulatori del territorio o sui mezzi di soccorso è di una gravità assoluta perché non solo non preserva la salute dei medici e di tutti gli operatori sanitari ma consente in modo inconsapevole di contribuire ulteriormente alla diffusione del virus. Vorremmo conoscere quali sono le evidenze scientifiche cui fanno riferimento i colleghi dell’Iss». A venire incontro alle sue preoccupazioni sono, in un documento di ieri, i presidenti degli ordini dei medici toscani. A loro volta in apprensione per il numero degli operatori contagiati in regione, gli ordinisti della Federazione regionale-Ftom ricordano come l’Inail, ente preposto alla tutela dei lavoratori dagli infortuni, nel fact sheet “Covid 19 e protezione degli operatori sanitari” di qualche giorno fa citi come “precauzioni standard da applicarsi in tutte le strutture sanitarie” i seguenti due gradi di protezione: per il personale sanitario non direttamente esposto a procedure generanti aerosol, mascherine con filtranti respiratori Ffp2, protezione facciale/occhiali, camice impermeabile a maniche lunghe e guanti; e per il personale esposto filtranti respiratori Ffp3, oltre alle altre protezioni. Gli ordini toscani chiedono altre precauzioni. Le Asl dovrebbero comunicare al medico di famiglia il nominativo dei suoi pazienti positivi al virus. E, in carenza di dispositivi idonei, non andrebbe usata la mascherina chirurgica ma va modificato l’assetto organizzativo assistenziale. Intanto, il Sindacato medici italiani ha lanciato una sottoscrizione nazionale per l’acquisto di Dpi per i medici, si aderisce anche con un contributo minimo da versare sul cc n. IT 89 D 02008 05119 000400439844, causale “Acquisto mascherine per i medici”.

Anaao, 10mila medici in più con laurea abilitante? ‘Non esiste’

(da Adnkronos Salute)  Diecimila medici in più grazie all’abolizione dell’esame di abilitazione per i laureati in medicina? L’Anaao Assomed si dichiara “stupefatta” per le recenti dichiarazioni rese dal ministro dell’Università Gaetano Manfredi sulla stampa. Il ministro “annuncia con toni trionfalistici l’abolizione, che Ordini dei medici ed organizzazioni sindacali mediche chiedevano da anni”. E aggiunge che “a ore i neolaureati potranno essere impiegati subito nei servizi territoriali, nelle sostituzioni della Medicina generale, nelle case di riposo. Libereranno diecimila medici che saranno trasferiti nei reparti”. “Ma il ministro – denuncia l’Anaao – immagina automatismi occupazionali che non esistono, tantomeno un gioco di vasi comunicanti che vede migliaia di medici di medicina generale liberati per dirigersi, al ritmo della fanfara dei bersaglieri, verso il Pronto soccorso o l’attività ospedaliera in genere”.    Soprattutto in un momento come questo, “in cui occorrono conoscenze, competenze ed esperienza specialistica. Peraltro, in una immagine semplicistica dei servizi sanitari territoriali come terreno ideale per stagisti alla prima esperienza. Spiace, inoltre, rivelare al ministro che con questo decreto non è stato accorciato di otto, nove mesi l’ingresso nel mondo del lavoro dei laureati in Medicina. È stato, invece, allargato quell’imbuto formativo che già oggi tiene imprigionate speranze e aspettative di 8000 giovani medici, cui di fatto è impedita la possibilità di completare il percorso formativo – evidenzia il sindacato – Il ministro capirà facilmente, infatti, la differenza tra l’essere, dopo un percorso di sei anni, immediatamente medico ed essere specialista, cioè in possesso dell’unico requisito previsto dalla normativa vigente per accedere al lavoro nel Ssn”.    Insomma, “se non convince il Mef ad aumentare in maniera consistente, come gli ha già chiesto il presidente Fnomceo Filippo Anelli, il numero dei contratti di formazione specialistica e delle borse di studio in medicina generale, la soppressione dell’esame di abilitazione si rivelerà un buco nell’acqua e la sua proposta di incrementare a 13.500 gli accessi al corso di laurea un disastro, formativo ed occupazionale. Perché è questo provvedimento che chiedevano, e chiedono, gli studenti, i camici bianchi, i sindacati e gli ordini professionali per rispondere al bisogno di medici specialisti, diventato in Italia negli ultimi anni un’urgenza che la emergenza epidemiologica ha messo a nudo”.    “Se veramente ci si vuole adeguare agli standard europei, questa è la cruna dell’ago attraverso la quale si deve passare, con o senza il mondo universitario”, conclude il sindacato.

Coronavirus, in vigore il decreto Cura-Italia. Gli interventi economici lasciano indietro i medici

(da Doctor33)    Il decreto Cura-Italia, fatto per salvare l’economia in tempi di coronavirus, rischia di andare di traverso a chi l’Italia la cura davvero e cioè ai medici. Sia agli autonomi sia ai dipendenti. Ai primi, se liberi professionisti iscritti Enpam, nega di appoggiarsi al Fondo di garanzia al quale attingono tutte le categorie iscritte Inps ma contribuiscono tutte le casse previdenziali, inclusa la Fondazione. Ai secondi, iscritti Inps, se pubblici dipendenti aumenta l’importo degli straordinari, che però di rado sono fruibili e se fruiti sono stangati fiscalmente.
Liberi professionisti – In base al DL 9 del 2 marzo scorso, ai lavoratori autonomi iscritti Inps spetta un assegno di inattività già da marzo di 600 euro al mese per 3 mesi. Come ha scritto il presidente Enpam Alberto Oliveti al premier Conte, l’assegno doveva andare anche agli iscritti Enpam perché sia Inps sia Enpam contribuiscono al Fondo sociale per l’occupazione e la formazione da cui sono tratte le risorse per l’assegno. Ci si aspettava una correzione. Invece, annuncia ora Oliveti, non c’è stata. I soldi arriveranno agli iscritti Inps, «per tutti gli altri iscritti a Ordini e collegi (compresi medici, odontoiatri e sanitari liberi professionisti e convenzionati), è stato istituito un “Fondo per il reddito di ultima istanza”, con una dotazione pro-capite molto inferiore e con tempi, criteri e modalità di attribuzione lasciati all’incertezza». Commento di Oliveti, che è anche presidente dell’associazione delle casse dei professionisti (Adepp): «E’ uno schiaffo a chi sta mettendo a rischio la propria vita per arginare la pandemia. Non solo ci vengono negati gli stessi diritti riconosciuti a tutti gli altri contribuenti, ma addirittura agli Enti previdenziali dei professionisti viene impedito di utilizzare risorse proprie per fronteggiare l’emergenza. Sembra che lo Stato consideri il patrimonio delle Casse intoccabile solo dai legittimi proprietari, mentre è toccabilissimo quando si tratta di sottoporlo a tassazione. Solo l’Enpam l’anno scorso ha pagato 180 milioni di euro di imposte sul proprio patrimonio. E ci vengono a dire che ai sanitari in prima linea non possiamo dare nemmeno una frazione di questi importi?».
Dipendenti – Il decreto Cura-Italia all’articolo 1 per i dipendenti del Servizio sanitario incrementa i fondi contrattuali per le condizioni di lavoro della dirigenza medica e sanitaria e per il personale del comparto. Non dice quanto prenderà ogni medico o infermiere in più all’ora: si tratta di 750 milioni e li suddivide tra le regioni secondo criteri preesistenti: 124 milioni alla Lombardia, 72 al Lazio, 70 alla Campania e poi a scendere. Le richieste dei medici in corsia erano un po’ diverse. Le ha riassunte in una lettera Giuseppina Fera della segreteria nazionale Cisl Medici: «Ricominciamo con una detassazione immediata delle retribuzioni e continuiamo, se e quando finirà l’epidemia, con un immediato rinnovo contrattuale adeguato, dando il giusto riconoscimento a chi lo merita». «La detassazione – dice Fera – dovrebbe avvenire su tutto il reddito, o almeno su quella parte di quota variabile rappresentata dagli incentivi, come l’indennità di risultato che ci viene versata annualmente e che però, nell’Irpef, cumulandosi con il reddito è tagliata di oltre il 50%. La risposta giunta dal Cura-Italia persiste nell’errore di premiare la produttività con incrementi su ore di lavoro straordinario. Ma per lo più gli straordinari non vengono pagati e se lo sono vengono supertassati a differenza che nel privato; giusto qualcosa si vede per gli straordinari in guardia, alimentati dal Fondo di disagio. A differenza degli infermieri, che se li vedono riconosciuti (a fronte di un lavoro spesso ancor più massacrante del nostro) noi medici in genere non ne fruiamo. Le ore, passato un po’ di tempo, ci vengono azzerate. In alcune aziende abbiamo ottenuto di recuperarle al momento di pensionarci. Darci soldi che poi non vediamo non serve a niente».
Meno critica Cosmed; la confederazione guidata da Giorgio Cavallero che raggruppa Anaao-Assomed, Aaroi-Emac, Fvm, Fedirets, Anmi Assomed-Sivemp Fpm, Aiic comunica: « È un primo limitato intervento ma non dobbiamo accontentarci: il Paese deve ripartire dai servizi pubblici. Tutti gli straordinari vanno retribuiti, inclusi quelli dei dirigenti; il 23 comma 2 del D.lgs. 75 (tetto al trattamento accessorio ndr) va abolito per tutte le categorie perché contiene penalizzazioni assurde su disagio, produttività e merito; sono necessari più medici specialisti e più dirigenti; vanno sospese le penalizzazioni dei dipendenti pubblici in caso di malattia. E va perseguita l’evasione».

Consegna di farmaci e dispositivi medici al domicilio per ridurre i rischi di contagio Covid 19 legati agli spostamenti

A seguito delle indicazioni regionali e di accordi dell’Ausl Romagna con Associazioni di categoria dei farmacisti e con Croce Rossa, e al fine di contrastare le concentrazioni di persone e quindi di contenere il più possibile la trasmissione del Coronavirus, in questo periodo e fino a nuova comunicazione, sono state attivate nuove modalità di consegna di farmaci e dispositivi medici al domicilio del paziente o presso la farmacia di fiducia  aperta al pubblico. Tale modalità riguarda  anche  medicinali abitualmente ritirati presso la distribuzione diretta nei punti erogativi ospedalieri, se per tali farmaci  non è necessaria rivalutazione da parte dello specialista.

Tutti i pazienti che utilizzano la distribuzione diretta possono rivolgersi alle farmacie territoriali.  Il  servizio di consegna domiciliare – effettuato tramite i volontari di Croce Rossa o altre Associazioni di volontariato – è invece prioritariamente rivolto a: anziani di età superiore ai 65 anni, disabili, immunodepressi, oncologici, persone Covid positive e in generale persone sole o con rete familiare assente o debole.

La consegna  può essere attivata dagli utenti, o da loro congiunti, con le seguenti modalità:

–           contattando direttamente il numero verde della Croce Rossa 800.065.510

–           recandosi presso la farmacia di fiducia con il piano terapeutico che avrebbero portato al punto di distribuzione diretta

–          contattando la distribuzione diretta della farmacia ospedaliera del proprio ambito territoriale ,  ai numeri sotto riportati nei seguenti orari: dal lunedì al venerdì dalle ore 8:30 alle ore 16:30.

Ambito territoriale

 

Num. Telefono Distribuzione Diretta Farmaci

 

Cesena

 

0547 352687

 

 Forlì

 

0543/731100

 

 Ravenna

 

0544/287248 / 285200

 

 Rimini

 

0541/705628 / 705565

 

Azienda USL della Romagna

Offesi, delusi e stanchi

(da M.D.Digital)    Con un comunicato congiunto che da voce a tutte le organizzazioni di categoria, i sindacati hanno espresso la loro ‘rabbia’ e delusione per le affermazioni del dottor Fortunato Paolo D’Ancona, ricercatore dell’Iss secondo cui non si sa se il personale sanitario sia stato contagiato “professionalmente oppure al di fuori del luogo di lavoro”.   “Siamo offesi, delusi e stanchi – scrivono i sindacati – dopo aver sentito, in conferenza stampa, le parole del dottor Fortunato Paolo D’Ancona, ricercatore dell’Istituto Superiore di Sanità, arrivare ad affermare che non si sa se il personale sanitario sia stato contagiato “professionalmente oppure al di fuori del luogo di lavoro”, parole non immediatamente smentite dal Capo della Protezione Civile, Borrelli, che sa benissimo quanti, di che tipo e a chi ha consegnato i DPI. Sono giorni in cui medici, infermieri e gli operatori sanitari sono in prima linea nella battaglia contro il Covid 19 e per giunta senza o con inadeguati dispositivi di protezione individuale, considerati necessari, per non rischiare la loro vita e quella dei loro pazienti, ed in alcuni casi purtroppo perdendola la vita, senza per questo tirarsi mai indietro nonostante le palesi negligenze e mancanze organizzativo-gestionali, visibili sia a livello nazionale, regionale e aziendale, che stanno dimostrando una filiera di comando piena di vulnerabilità e di iniquità scaricata solo sul Servizio Sanitario Nazionale. A questo punto non si può che invitare – da un lato – il dottor D’Ancona a dimettersi e ritornare a fare il medico vero, quello che gli ammalati li cura non li conta con il pallottoliere, e quindi invitarlo presso gli studi dei medici di medicina generale, dei pediatri di libera scelta, presso i poliambulatori delle Asl e presso gli Ospedali pieni di pazienti Covid-19, o sospetti tali, ad aiutarci a visitare e curare i cittadini malati con i Dpi ‘invisibili’ forniti sinora e a mani nude. Noi medici, però, siamo contagiati oggi, almeno positivamente, dalla ‘gratitudine ‘dei cittadini che ringraziamo per il Flash Mob di sabato, che ci da la forza di continuare in questa battaglia non facile, così facendo ci hanno fatto capire che sono loro la ‘Repubblica’ di cui parla l’art. 32 della nostra Costituzione, non certo quelli come il dr. D’Ancona e quelli come lui, su cui non contiamo più, ne vogliamo più che contino per noi e per i nostri assistiti. Solo garantendo la salute agli operatori sanitari tutti, con i fatti e non con le parole, avremo la speranza di poter salvare la popolazione e ricordiamo infine che questa era la prima raccomandazione fatta dall’Oms ed è stata, ad oggi, proprio nelle azioni di questi soggetti completamente disattesa”.

Le scuse dell’Istituto superiore di Sanità – In una lettera, inviata alla FNOMCeO, l’epidemiologo dell’Iss Fortunato D’Ancona pone le sue scuse per l’accaduto e precisa: “Mi rendo conto che alcune mie parole sugli operatori sanitari contagiati dal coronavirus, sono state fraintese e hanno suscitato reazioni negative tra il personale sanitario e le associazioni di volontariato. Con mio dispiacere, infatti, ancora poco sappiamo di questi operatori che hanno contratto la malattia per la quasi totalità dei casi nell’ambito dell’attività lavorativa. Il tempo limitato, della conferenza stampa, non ci ha permesso di dare un quadro esaustivo, ma ha fatto prevalere nella comunicazione un dettaglio tecnico su alcune incertezze epidemiologiche rispetto alla sostanziale evidenza che la preminenza della fonte è di natura professionale”.   In un’altra missiva, inviata alla FNOMCeO dal presidente dell’Iss Silvio Brusaferro, l’Istituto Superiore di Sanità esprime un profondo rammarico per quanto accaduto. “A nome dell’Istituto Superiore di Sanità – scrive Brusaferro – e mio personale esprimo il profondo rammarico per alcune espressioni di un nostro ricercatore durante la conferenza stampa, presso la protezione civile, che, in modo del tutto involontario, hanno potuto dare l’impressione di una sottovalutazione del rischio di contrarre l’infezione in ambito lavorativo per i medici e per tutti i professionisti ed operatori sanitari, rischio che rimane in assoluto quello su cui focalizzare prevenzione e protezione particolarmente laddove la situazione epidemiologica ed assistenziale è più critica”.

COVID-19 e ACE inibitori: la posizione della SIIA

(da Cardiolink)   Con l’unico ed esclusivo scopo di evitare che i pazienti di tutti noi – in terapia con ACE-inibitori o sartani da anni – vengano ulteriormente spaventati (come certamente saprete e come risulta da loro ormai innumerevoli, angosciate telefonate)  da chi diffonde notizie che – in atto – sono solo una suggestione ed una ipotesi, se non una falsa notizia; è uscito un comunicato  stampa ufficiale della Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa (SIIA), presieduta dal Prof. Guido Grassi.  In atto NON esiste alcuna evidenza che gli ACE-inibitori favoriscano l’infezione da SARS-CoV-2 e/o che i sartani facciano lo stesso oppure proteggano dall’infezione stessa.   Due righe in sfavore di queste due classi di farmaci (queste le più note: “the safety and potential effects of antihypertension therapy with ACE inhibitors or angiotensin-receptor blockers in patients with COVID-should be carefully considered” su Nature Review Cardiology) oppure due righe in favore dei medesimi (queste le più note: “A tentative suggestion based on existing therapeutics, which would likely be resistant to new coronavirus mutations, is to use available angiotensin receptor blockers, such as losartan, as therapeutics for reducing the aggressiveness and mortality from SARS-CoV-2 virus infections” di David Gurwitz) possono e devono aprire il campo ad approfondimenti clinici, epidemiologici, fisiopatologici e molecolari, ma non possono ex abrupto divenire realtà.  Credo che molti pazienti – e forse non solo loro – abbiano confuso ACE con ACE-2 e che interessantissime suggestioni – promosse da alcuni ricercatori già al tempo della SARS – siano diventate rapidamente delle inoppugnabili verità; ma credo soprattutto che compito di SIIA e di tutti noi sia anche contribuire a non allarmare inutilmente chi spesso ha già ben più seri motivi di allarme.

Claudio Ferri

Già Presidente SIIA

Full Professor of Internal Medicine

Director of the Chair of Internal Medicine, School of Internal Medicine,

PhD course in Medicine and Public Health – University of L’Aquila, Department MeSVA

U.O.C. of Internal Medicine and Nephrology

Hypertension and Cardiovascular Prevention Unit – San Salvatore Hospital – 67100 Coppito – AQ – Italy

Certificati malattia, ecco quando si può scrivere in tempi di coronavirus. I nodi per il medico di famiglia

(da Doctor33)   Sta succedendo nel mondo del lavoro, nel privato. Lo studio del notaio chiude, il ristorante pure, per esigenze di “distanziamento sociale” da coronavirus. Notaio e proprietario dicono al dipendente: non stare ad aspettare le misure del governo per la cassa integrazione ché chissà quando arrivano, mettiti in malattia. Il dipendente chiede al medico di famiglia di certificare una malattia che non c’è e dunque non si può certificare. È infatti richiesta improprie da rinviare al mittente. Lo specifica ora l’Inps Ravenna nel rispondere a un quesito del presidente dell’Ordine dei Medici di Ravenna Stefano Falcinelli relativo alla circolare del 25 febbraio scorso Hermes 0000716.
Secondo questa circolare, tutte le forme che configurano assenza forzata del lavoratore a causa del coronavirus nel certificato di malattia vanno contrassegnate come quarantena obbligatoria o volontaria, isolamento volontario, sorveglianza attiva ovvero dal codice V 29.0 corrispondente alle suddette fattispecie. Ma il certificato si può scrivere solo quando l’assistito ha ricevuto specifico provvedimento di messa in isolamento etc dal Dipartimento di Prevenzione Asl. I medici non sono tenuti a rilasciare certificati richiesti dai datori di lavoro difformi dalle indicazioni precedenti.
In parallelo, nella Pubblica amministrazione da dipendenti con cardiopatie, diabete, bronco-pneumopatie arrivano richieste per essere posti in malattia. Il decreto 8 marzo raccomanda ad anziani e cronici di evitare di uscire di casa, per via delle conseguenze di un possibile contagio.
Silvestro Scotti segretario Fimmg, ricorda che il mmg redige il certificato non in base alla patologia cronica, che è in genere controllata, ma all’incapacità lavorativa del momento. Il rischio è di fare un falso ideologico. Dovrebbero essere i datori di lavoro a far lavorare questi pazienti da casa.
Si segnalano altri due problemi: le regole d’ingaggio tra dipartimento prevenzione Asl e medico di famiglia o pediatra e la certificazione che il paziente può tornare al lavoro dopo la quarantena. Secondo il decreto 8 marzo, chiunque venga da aree ad alto rischio contagio (ex zone rosse, Cina) da meno di 14 giorni deve avvertire il dipartimento di prevenzione dell’Asl. Quest’ultimo lo contatta e se tracciandone gli incontri lo ritiene “contatto stretto” di pazienti positivi al virus ne dispone quarantena e sorveglianza sanitaria (febbre misurata 2 volte al giorno e comunicata all’Asl nella telefonata quotidiana di quest’ultima). Il comma 2 del decreto afferma “in caso di necessità di certificazione ai fini Inps per l’assenza dal lavoro, (lo stesso Dipartimento di prevenzione Asl) procede a rilasciare una dichiarazione indirizzata all’Inps, al datore di lavoro ed al medico di medicina generale in cui si dichiara che “per motivi di sanità pubblica il Sig Rossi è stato posto in quarantena da… a…” Qui si apre un quesito: il medico Asl avverte sia il mmg sia l’Inps e il datore di lavoro o gli basta avvertire il medico di famiglia per avviare la pratica certificatoria? Mancano risposte dalle Asl, gli stessi mmg dicono che -essendo le linee telefoniche Asl intasate- hanno scritto il codice V29 anche senza pregresso coordinamento con il Dipartimento di prevenzione. Ciò potrebbe comportare che l’Inps neghi validità al certificato e copertura della “malattia forzata”, quindi un diritto. Sull’altro piatto della bilancia -spiegano i medici sui social -c’è il dovere del medico di fare di tutto per evitare l’espandersi dei contagi.

Altro nodo: quando i datori di lavoro chiedono al medico di famiglia di certificare che un paziente che è stato male, per influenza, Covid, altra infezione, è idoneo al rientro al lavoro.
Il medico, pur informato di uno stato di quarantena, come scrive la segretaria Fimmg Paola Pedrini «non è in alcun modo tenuto a redigere nessun tipo di certificazione, né avrebbe facoltà, visto che la certezza della guarigione dall’infezione può essere data solo dall’esecuzione di due tamponi entrambi negativi. La sola valutazione clinica non ha infatti la possibilità di accertare quanto richiesto. Il mmg al quale, nella sua pratica clinica, venga fatta questa richiesta, deve opporsi al rilascio di una certificazione che, altrimenti, risulterebbe del fatto falsa». «Riteniamo – conclude Pedrini- che, qualora si presenti tale problematica e si crei un contenzioso tra lavoratore e titolare, il lavoratore vada indirizzato al medico competente dell’azienda».

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