Carenza medici specialisti, la ricetta di Anaao giovani in 5 passaggi

(da Doctor33)   La soluzione per superare le criticità della formazione e del fabbisogno di medici specialisti nel Servizio Sanitario Nazionale c’è e Anaao Giovani in un recente studio propone la sua ricetta in5 passaggi:1) facilitare il precoce ingresso nel Ssn; 2) svincolare il percorso formativo dall’Università, almeno in parte; 3) confrontarsi con l’Europa; 4) prevedere una forma di part time ospedaliero in cui il giovane medico, adeguatamente tutorato, gradualmente “sostituisce” l’over 60 che potrà su base volontaria lavorare nel territorio; 5) migliorare l’inquadramento previdenziale.

L’iter di formazione di un medico è tra i più lunghi nell’ambito delle discipline scientifiche. Infatti, dopo il conseguimento di una laurea magistrale a ciclo unico (sei anni, unicum tra le lauree), è obbligatorio, per accedere al Ssn, il superamento dell’esame di stato (circa tre mesi di tirocini obbligatori più la prova finale) e il conseguimento di un diploma di specializzazione o di formazione specifica in medicina generale (della durata variabile, a secondo del percorso scelto, dai tre anni fino a un massimo di cinque anni), con accesso alla formazione post lauream generalmente oltre un anno dopo dal conseguimento della laurea. Pertanto, un medico specialista impiega, nella maggioranza dei casi, circa 11-12 anni per poter lavorare per il Ssn.

Partendo dagli accessi a Medicina la ricetta Anaao prevede di ridurre gli accessi a medicina a 6.200/anno fino al 2022-2023 per assorbire gli eccessi degli iscritti in sovrannumero.  Lo Stato sa di quanti medici ha bisogno e interviene programmando esso stesso gli accessi al corso di Laurea in Medicina e Chirurgia e mettendo a bando contratti statali di formazione specialistica. È inutile formarne di più, perché farlo ha un costo non irrisorio. Pertanto, se si conosce il fabbisogno di medici specialisti (numero espresso dalle Regioni triennalmente), la programmazione della formazione medica diventa abbastanza semplice, almeno sulla carta.  Per il post lauream? Alla luce dei dati, secondo un obiettivo di pareggio delle cessazioni nei prossimi 10 anni, e un obiettivo di applicazione standard su base Dm 70 a invarianza di “carico di lavoro medio nazionale”, il numero di contratti di formazione specialistica attuali (media 6.100) devono essere incrementati nel prossimo quinquennio nell’ottica di potenziare le attuali assunzioni nel Ssn di 3.228 medici/anno.

Fatti salvi i 6.105 contratti pagati con l’attuale fondo statale per la formazione specialistica, sarebbe auspicabile che le Regioni contribuissero all’aumento dei contratti di formazione specialistica – sottolinea l’Anaao – diventando protagoniste della programmazione e del cammino formativo dei giovani medici specializzandi e della sostenibilità generale del sistema. Con il loro aiuto e lo stanziamento di ulteriori 1.862 contratti (differenza tra posti Miur e fabbisogno regionale calcolata sull’ultimo anno accademico), il gap tra partecipanti al concorso e posti a bando si ridurrebbe sensibilmente nei prossimi anni.

Il costo complessivo dell’operazione, secondo lo studio Anaao, è stimabile in quasi 190 milioni di euro (per specializzazioni di durata quadriennale) e ammonterebbe a poco più di 9 milioni di euro per le 20 Regioni italiane. Una cifra oggettivamente alla portata di ogni bilancio regionale. Pertanto, le Regioni dovrebbero farsi carico della differenza tra posti ministeriali e fabbisogno, che esse stesse devono indicare ogni 3 anni.

La metformina adeguatamente titolata è sicura ed efficace anche in caso di malattia renale moderata-grave

(da Doctor33)   Secondo un nuovo studio pubblicato su Diabetes Care, il trattamento con metformina appare sicuro e comunque farmacologicamente efficace nella malattia renale cronica moderata e grave stadio 3A (VFG stimato 45-59 ml/min/1.73m2), 3B (VFG stimato 30-44 ml/min/1.73m2) e 4 (VFG stimato 15-29 ml/min/1.73m2), a condizione che la dose sia aggiustata per la funzionalità renale. «Dopo la revoca delle restrizioni sull’uso della metformina in pazienti diabetici con nefropatia cronica da moderata a grave, vista l’assenza di studi prospettici sulla sicurezza e sull’efficacia in questa popolazione, abbiamo voluto portare avanti una sperimentazione che potesse aiutare a definire un regime posologico sicuro ed efficace per il farmaco» dice Jean-Daniel Lalau, della Universite de Picardie Jules Verne di Amiens, Francia, primo autore della ricerca. I ricercatori hanno lavorato su tre studi complementari. Il primo era uno studio di dosaggio negli stadi 1- 5 della nefropatia cronica, in cui le concentrazioni ematiche di metformina sono state valutate per un periodo di una settimana dopo ogni aumento della dose.   Sono poi passati a uno studio sul trattamento con metformina per quattro mesi per la convalida della dose ottimale di farmaco in funzione dello stadio di nefropatia cronica 3A, 3B e 4, con verifica mensile delle concentrazioni di metformina ematica, lattato ed emoglobina glicata (HbA1c). Il terzo studio consisteva infine in una valutazione dei parametri farmacocinetici dopo la somministrazione di una singola dose di metformina in steady state in nefropatia cronica di stadio 3A, 3B e 4. Nello studio di dosaggio, i risultati hanno indicato che gli schemi di somministrazione giornaliera appropriati sono 1.500 mg (0,5 g al mattino + 1 g alla sera) in nefropatia cronica 3A, 1.000 mg (0,5 g al mattino + 0,5 g alla sera) in nefropatia cronica 3B e 500 mg (al mattino) in nefropatia cronica 4. Dopo quattro mesi con questi regimi, i pazienti hanno mostrato concentrazioni di metformina stabile che non hanno mai superato il limite superiore di sicurezza generalmente accettato di 5,0 mg/L; inoltre, si è riscontrata assenza di iperlattacidemia (>5 mmol/L), escludendo un paziente con infarto miocardico, senza modifiche dei valori di HbA1c. Non sono state riscontrate differenze significative nei parametri farmacocinetici tra i gruppi nei diversi stadi di nefropatia cronica. I dati dello studio sostengono la raccomandazione clinica per l’uso di 1,5 g di metformina in stadio 3A, 1g in stadio 3b, con controlli semestrali del VFG stimato. La metformina va sospesa in corso di patologie intercorrenti con rischio di insufficienza renale acuta. L’utilizzo di metformina nello stadio 4 della malattie renale cronica è al momento da considerare una prospettiva da valutare.
(Diabetes Care 2018. Doi: 10.2337/dc17-2231 http://care.diabetesjournals.org/content/early/2018/01/19/dc17-2231

Batteri responsabili della parodontite possono scatenare il cancro

(da Dental Tribune)   Una ricerca in Finlandia ha indagato il ruolo svolto nello sviluppo del cancro orale e di altri tipi, da un batterio fortemente connesso alla parodontite. In una seconda ricerca è stato scoperto anche un collegamento tra parodontite e mortalità da cancro.  La prima ricerca ha dimostrato per la prima volta l’esistenza di un meccanismo a livello molecolare attraverso il quale un batterio associato alla parodontite, il Treponema denticola, può anche contribuire alla genesi del cancro. Il fattore di virulenza primario del T. denticola, chimotripsina come proteinasi, si verifica anche nei tumori maligni del tratto intestinale, per esempio nel cancro del pancreas. Secondo un’altra ricerca, l’enzima ha la capacità di attivare quelli che le cellule tumorali usano per invadere i tessuti sani. Allo stesso tempo, la proteinasi diminuisce l’efficacia del sistema immunitario attraverso, ad esempio, l’inattivazione di molecole note come inibitori enzimatici.  Nella seconda ricerca è stato provato che la parodontite è chiaramente associata alla mortalità da cancro nella popolazione. È stato riscontrato un legame particolarmente forte con la mortalità da cancro del pancreas. Circa 70.000 finlandesi hanno preso parte a questa ricerca basata su un follow-up decennale.  «È stato dimostrato per la prima volta che i fattori di virulenza dei batteri patogeni centrali alla base della patologia gengivale sono in grado di diffondersi dalla bocca ad altre parti del corpo, molto probabilmente in unione coi batteri, prendendo parte al meccanismo di distruzione tissutale correlato al cancro» dichiara il Prof. Timo Sorsa dell’Università di Helsinki.  I ricercatori hanno concluso che un basso grado di infiammazione sistemica legato alla parodontite agevola la diffusione di batteri orali e dei loro fattori di virulenza verso altre parti del corpo, sottolineando l’importanza della prevenzione e della diagnosi precoce della parodontite per la salute orale dei pazienti e per il loro benessere generale, «comportamenti che nel lungo periodo non possono che essere estremamente redditizi per la società» dice Sorsa. Le ricerche sono state effettuate da Gruppi guidati da Sorsa, da Cai Haglund, Jari Haukka e Jaana Hagström dell’Università di Helsinki.  Il primo studio, intitolato “Treponema denticola chymotrypsin-like proteinase may contribute to orodigestive carcinogenesis through immunomodulation”, è stato pubblicato online il 16 Novembre 2017 sul British Journal of Cancer. Il secondo, intitolato “Periodontitis and cancer mortality: Register-based cohort study of 68.273 adults in 10-year follow-up”, è stato pubblicato online sul International Journal of Cancer l’11 Gennaio 2018. Studi ulteriori sono già in corso all’University of Helsinki e al Karolinska Institutet.

Vaccini, bimba non immunizzata si ammala di tetano. Genitori indagati per lesioni colpose

(da Doctor33)   Lesioni personali colpose. È questa l’accusa per i genitori della bambina di 7 anni, ricoverata all’Ospedale Infantile Regina Margherita di Torino per aver contratto il tetano. La piccola, nata nel 2010, non era stata vaccinata mentre i genitori avrebbero dovuto vaccinarla come stabilito dal ministero della Salute: un” ciclo di base di 3 dosi nel primo anno di vita e un richiamo all’età di 6″. La bimba, ricoverata nell’ottobre scorso prima nel reparto di Terapia intensiva, poi in quello di Rianimazione, è stata dimessa il 7 novembre. La querela per “lesioni personali colpose” è in mano al procuratore aggiunto Vincenzo Pacileo, che ha iscritto i genitori della bambina nel registro degli indagati. Pacileo ha disposto una consulenza tecnica per determinare la presenza di un nesso di causalità tra la mancata vaccinazione e la successiva “reazione patologica” e per valutare le attuali condizioni della piccola. È stato inoltre scoperto che anche il fratello minore non è stato vaccinato. I genitori si sono difesi, affermando di essere persone “ragionevoli” e di avere sempre avuto a cuore la salute dei figli. Adesso dovranno convincere anche il magistrato che è così.

Sul pagamento delle certificazioni INAIL serve chiarezza

(da M.D.Digital)    I medici vogliono chiarezza sul pagamento delle certificazioni Inail: “Non possiamo accettare – scrivono Anaao Assomed e Cimo al Direttore Generale dell’Inail – che per assurdo l’Istituto incassi i contributi senza pagare chi fornisce il relativo servizio di certificazione, né che Inail si sottragga ad un preciso obbligo contrattuale. Occorre, pertanto, sanare questa delicata vicenda, che sta privando il personale medico dell’emergenza del riconoscimento economico spettante per una attività aggiuntiva ai compiti istituzionali, in un momento avaro di riconoscimenti economici per la categoria tutta, a fronte di progressivo peggioramento delle condizioni di lavoro, e particolarmente penalizzante i medici che lavorano nei Pronto soccorso”.  Anaao Assomed e Cimo oltre a chiedere un incontro ai vertici dell’Istituto, sollecitano anche l’intervento del Ministro della Salute, nel suo ruolo di organo vigilante sulla attività dell’Inail, per garantire il rispetto della dignità del lavoro dei medici e degli obblighi contrattuali sottoscritti.
A tale proposito ricordiamo che nel 2016 è entrato in vigore il decreto legge semplificazioni 151/2015 che obbliga tutti i medici a fare il certificato di apertura dell’infortunio – siano essi di Pronto soccorso, di medicina generale, di continuità assistenziale e competenti, convenzionati o meno – ove siano loro per la prima volta a prestare assistenza al paziente vittima di infortunio. L’attestazione medica che certifica l’evento morboso, infatti, non deve più essere trasmessa dal datore di lavoro ma dal medico certificatore o dalla struttura sanitaria che effettua la prima assistenza al lavoratore che si è infortunato o è malato a seguito di una malattia professionale o causa di servizio.

Rischio cardiovascolare, anche fumare poco espone a pericolo

da Doctor33)   Chi fuma una sola sigaretta al giorno ha circa la metà del rischio di malattia coronarica e ictus rispetto a chi ne fuma 20, quindi si espone a un pericolo molto maggiore di quanto si possa pensare, secondo una revisione pubblicata sul British Medical Journal. «I fumatori dovrebbero smettere completamente di fumare invece di ridurre la quantità di sigarette per far diminuire significativamente il rischio di malattie cardiache e ictus. Queste informazioni potrebbero essere particolarmente utili all’inizio di un nuovo anno, quando è probabile che molti fumatori si impegnino per smettere di fumare o per fumare di meno» afferma Allan Hackshaw dello UCL Cancer Institute allo University College di Londra, che ha guidato il gruppo di studio. In passato singoli studi hanno riportato che fumare solo da una a cinque sigarette al giorno fosse associato a un rischio più elevato del previsto di malattie cardiache.   Per approfondire l’argomento, i ricercatori hanno analizzato i risultati di 141 studi e stimato i rischi relativi al fumo di una, cinque o 20 sigarette al giorno. I risultati hanno mostrato che gli uomini che fumavano una sigaretta al giorno avevano il 46% di eccesso di rischio di malattie cardiache e il 41% di eccesso di rischio relativo rispetto al fumo di 20 sigarette al giorno, molto più alto del 5% che poteva essere previsto a partire da una semplice associazione lineare. Nel caso delle donne, quelle che fumavano una sigaretta al giorno avevano il 31% di eccesso di rischio di malattie cardiache e il 34% di eccesso di rischio di ictus, sempre rapportato al consumo di 20 sigarette al giorno. «Abbiamo dimostrato che una grande percentuale del rischio di malattia coronarica e di ictus deriva dal fumare anche solo un paio di sigarette al giorno. Questo probabilmente rappresenta una sorpresa per molte persone, ma esistono anche meccanismi biologici che aiutano a spiegare il rischio inaspettatamente elevato associato a un basso livello di fumo.   La malattia cardiovascolare, non il cancro, costituisce il maggiore rischio di mortalità da fumo, con circa il 48% dei decessi prematuri dovuti al fumo» concludono gli autori. In un editoriale di accompagnamento, Kenneth Johnson, dell’Università di Ottawa in Canada, delinea le principali implicazioni per la salute pubblica di questi risultati: «Solo la completa cessazione del fumo è protettiva e questo fatto dovrebbe essere sottolineato da tutte le misure e le politiche di prevenzione. Il messaggio da portare a casa per i fumatori è che “qualsiasi esposizione al fumo di sigaretta è troppo”» conclude l’editorialista.
(BMJ 2018. Doi: 10.1136/bmj.j5855   http://www.bmj.com/content/360/bmj.j5855 
BMJ 2018.
 Doi: 10.1136/bmj.k167   http://www.bmj.com/content/360/bmj.k167  )

 

Politerapie: con più di 4 farmaci al giorno aumentano le cadute

(da M.D.Doctor)    Nell’anziano che deve assumere quattro farmaci al giorno il rischio di cadute aumenta del 18%. Ancora più a rischio chi deve fare ricorso a 10 farmaci al giorno, che vede addirittura raddoppiato il rischio. Lo afferma un ampio studio longitudinale condotto da un team di ricercatori britannici su oltre 5000 pazienti di età superiore ai 60 anni, che ha indagato il legame tra il politerapie e tasso di cadute. Questi risultati, pubblicati nella rivista BMJ open, incoraggiano ad essere vigili al fine di minimizzare i rischi potenzialmente correlati alle prescrizioni multiple, riscontro si potrebbe dire quasi “tipico” nel paziente anziano a fronte di frequenti situazioni di comorbilità, ma anche a mettere in atto misure per prevenire le cadute in questi pazienti. Partendo dai dati dell’English Longitudinal Study of Aging 6 e 7, gli autori hanno incluso nella loro analisi 5.213 persone di età superiore a 60 anni (69 anni di mediana, 55% di sesso femminile): di questi, quasi un terzo assumeva cinque o più farmaci. Dei 1611 pazienti in politrattamento, 569 sono andati incontro ad almeno un caduta negli ultimi due anni (175/1000), mentre fra i 3602 pazienti che non necessitavano di terapie multiple sono stati descritti episodi di caduta solo in 875 casi, con una differenza tra gruppi del 21%. Le analisi sono state effettuate per ridurre al minimo il rischio di casualità inversa e dopo aggiustamento per potenziali fattori confondenti  Gli autori hanno utilizzato dati longitudinali per ridurre al minimo il rischio di inversione causale e aggiustati per la comorbilità per minimizzare i fattori confondenti (che tuttavia potrebbero potenzialmente persistere). Sarà comunque opportuno condurre ulteriori studi per una disamina attenta e specifica delle complesse interazioni tra le terapie multiple, anche in relazione alle correlazione tra tipologia di farmaco e rischio di eventi. Nell’immediato, concludono gli autori, si sottolinea l’importanza di adottare un approccio multidisciplinare che vede la collaborazione di medici di base, specialisti e farmacisti, al fine di minimizzare i rischi e ottimizzare i trattamenti farmacologici in questa popolazione.
(Dhalwani NN, et al. Association between polypharmacy and falls in older adults: a longitudinal study from England. BMJ Open 2017; 7: e016358.)

1 256 257 258 259 260 285