Snami: tra medici e farmacisti non deve esserci nessuna commistione

(da M.D. Digital)  “Il medico fa la diagnosi, prescrive la cura, e il farmacista eroga il farmaco. Fra le due categorie – dichiara il presidente Snami Angelo Testa – non deve esserci nessuna commistione, così impone il regio decreto del 1934. Novant’anni dopo la Federazione dei titolari di farmacia italiani (Federfarma) sente il bisogno di allargare il raggio di azione: “La farmacia può dare un contributo importante alla riduzione delle liste d’attesa come erogatrice di servizi sanitari qualificati sul territorio.” Vuol dire che il farmacista può sostituire il medico? O è il medico che va in farmacia? C’è qualche passaggio un po’ nebuloso e non del tutto chiaro” .

“La prima riforma che espande l’attività delle farmacie – spiega – è di 15 anni fa, con il governo Berlusconi IV e ministri della Salute Maurizio Sacconi, poi Ferruccio Fazio. È allora che nasce la cosiddetta Farmacia dei Servizi. Per fare cosa? Un tramite con i laboratori analisi per l’esame delle urine e la ricerca di sangue occulto, e tutti quei test di autocontrollo cioè gli esami che il paziente può farsi anche a casa da solo e la farmacia dà un po’ di supporto. Questi ed altri servizi per i quali non serve la ricetta medica e che le farmacie offrono a pagamento. Le norme sono molto chiare: il farmacista non può svolgere, direttamente o per interposta persona, l’attività medica a mezzo di ambulatorio e i medici, in quanto prescrittori di farmaci, non possono esercitare in farmacia. Questi confini ora si stanno allentando. Infatti il Ddl Semplificazioni del 26 marzo 2024 cambia radicalmente le cose. Tra l’altro le farmacie possono somministrare qualunque tipo di vaccino sopra i 12 anni; fare da sportello per la scelta e revoca del medico di famiglia e del pediatra; vengono promossi i servizi di telemedicina come l’elettrocardiogramma e holter pressorio o cardiaco  che  saranno  refertati  da  un  medico  che  lavora  a  distanza”.

“Il Governo – precisa il presidente Snami – riconosce ufficialmente servizi che molti di noi già offrono quotidianamente ai cittadini, ma ponendo al contempo le basi per il loro rimborso da parte del Ssn a fronte della presentazione di una ricetta medica da parte del paziente. Nella pratica le farmacie che hanno specifici requisiti, possono trasformarsi in ambulatori di prossimità dove è possibile fare una diagnosi e poi vendere il farmaco per quella diagnosi. C’è il rischio di aumentare il consumo sanitario, anche quando non c’è una reale necessità, e di correre dal proprio medico curante al primo esame lievemente fuori parametro perché il farmacista, non avendo l’anamnesi che ci riguarda, ma soprattutto  le  competenze  non  può  valutarlo  in  un  quadro  complessivo”. “Come se i medici – conclude – diventassero farmacisti avendo la dispensazione di farmaci all’interno dei propri  studi.  Questa deriva allo Snami non piace”.

Il Covid vaccinazione preventiva per i tumori al seno, fegato, colon e melanoma ?

Il Covid vaccinazione preventiva per i tumori al seno, fegato, colon e melanoma ?

(da DottNet – riproduzione parziale)    Uno studio tutto dell’Istituto dei tumori di Napoli, accettato dalla prestigiosa rivista ‘Frontiers in Immunology’, ha dimostrato, per la prima volta, che il Sars-Cov-2 ha molecole (antigeni) simili a quelle tumorali. Soggetti vaccinati o che hanno contratto l’infezione da Coronavirus mostrano una risposta immune crociata. Di conseguenza, l’esposizione agli antigeni del virus potrebbe rappresentare una “vaccinazione preventiva” per tumori suprattutto del seno, fegato, colon e melanoma.

Il lavoro accettato per la pubblicazione descrive per la prima volta che il virus SARS-CoV-2 presenta nelle sue proteine, frammenti (antigeni) che condividono una elevata omologia di sequenze e di conformazione con antigeni espressi dalle cellule tumorali. In particolare, questi antigeni tumorali sono specificamente espressi dalla cellule del tumore al seno, al fegato, al colon e del melanoma. Inoltre, viene dimostrato che cellule del sistema immunitario (linfociti T), da soggetti vaccinati o che hanno contratto l’infezione da SARS-CoV-2, sono in grado di cross-reagire con gli antigeni virali e tumorali.

Questo fenomeno, definito “mimetismo molecolare” (molecular mimicry), suggerisce che la risposta immunologica indotta dagli antigeni virali e, di conseguenza, la memoria immunitaria che si è venuta a stabilire, può rappresentare una protezione nei confronti dello sviluppo di un tumore.”Questo risultato, ottenuto anche con il supporto dell’Unità del Laboratorio di Patologia Clinica dell’Istituto Pascale, diretto da Ernesta Cavalcanti  – dice Luigi Buonaguro, direttore del Laboratorio di Modelli Immunologici Innovativi, coordinatore dello studio – ha una potenziale ricaduta di notevole rilevanza medica a livello globale. In precedenza, sono stati riportati casi aneddotici di regressione tumorale in soggetti affetti da COVID-19, incluso nel nostro Istituto. Ma questa è la prima volta che viene dimostrato il meccanismo secondo il quale questo fenomeno avverrebbe. Infatti, grazie alla notevole esperienza acquisita dal nostro gruppo di ricerca nel settore specifico del mimetismo molecolare, è la prima volta che non solo vengono descritte in dettaglio le similitudini tra molecole del virus SARS-CoV-2 e quelle tumorali ma anche la capacità delle cellule del sistema immunitario di cross-reagire con tali molecole”.

Ovviamente, i dati epidemiologici dei mesi/anni futuri dovranno confermare il reale impatto di tale mimetismo molecolare sulla incidenza (numero di nuovi casi) dei tumori al seno, al fegato, al colon e del melanoma. Se questo effetto sarà avvalorato, la pandemia avrà avuto anche una ricaduta positiva sulla popolazione mondiale, fornendo uno “scudo protettivo” nei confronti di patologie

(https://www.frontiersin.org/journals/immunology/articles/10.3389/fimmu.2024.1398002/abstract)

REGIONE EMILIA ROMAGNA: Elenco APP dei medici del ruolo unico di assistenza primaria a ciclo di scelta e dei pediatri di libera scelta da incaricare – anno 2024

Si comunica che, ai sensi di quanto previsto all’Allegato 5 dell’Accordo Collettivo Nazionale per la Medicina Generale 04.04.2024 e all’Allegato 5 dell’Accordo Collettivo Nazionale per la Pediatria di Libera Scelta 28.04.2022, nel Bollettino Ufficiale della Regione Emilia – Romagna – parte terza – n. 156 del 29 maggio 2024 sono pubblicati:

 

  • Elenco APP dei medici del ruolo unico di assistenza primaria a ciclo di scelta da incaricare per l’anno 2024;

 

  • Elenco APP dei pediatri di libera scelta da incaricare per l’anno 2024.

 

Tali elenchi sono disponibili nel sito “E-R Salute” al seguente link:

APP (Anticipo della Prestazione Previdenziale) per la Medicina Generale e per la Pediatria di Libera Scelta — Salute (regione.emilia-romagna.it)

Ogni anno gli italiani spendono oltre un miliardo per i farmaci ‘griffati’

(da IlSole24Ore)   Gli italiani sono affezionati alle “marche”, anche quando si tratta di farmaci rimborsati dal Servizio sanitario nazionale. Per assicurarsi il medicinale griffato sono pronti a mettere mano al portafogli ogni anno spendendo più di 1 miliardo. Con differenze evidenti tra chi abita al Nord e al Sud: da Roma in giù si è disposti a spendere fino a quasi 25 euro pro capite all’anno in più per i medicinali di marca – i lucani a esempio spendono 24 euro, 22,9 euro i calabresi e 22,8 euro gli abitanti del Lazio – contro i 13 euro a esempio di lombardi, veneti e toscani o gli 11 euro scarsi di chi abita a Bolzano (la media italiana è 17 euro). Questi soldi in più sono necessari per pagare la differenza di prezzo tra il farmaco equivalente meno caro – si tratta del “generico” copia del medicinale fuori brevetto – completamente rimborsato dallo Stato e quindi gratuito per il cittadino e quello appunto di marca che ha una differenza di prezzo che va pagata di tasca propria. Questo fenomeno continua a ripetersi con costanza ogni anno e non accenna a calare: nel 2017 il costo in più pagato dai cittadini valeva 1,050 miliardi, 1,126 miliardi nel 2018, nel 2019 1,122 miliardi, 1,077 miliardi nel 2020. E ancora 1,056 miliardi nel 2021 e 1,083 nel 2022. Anche nel 2023 – l’ultimo dato disponibile – gli italiani hanno versato di tasca propria 1,029 miliardi di euro di differenziale di prezzo per ritirare il farmaco brand più costoso invece che il generico-equivalente a minor costo e interamente rimborsato dal SSN.

Diabete, approvata la prima insulina settimanale al mondo

(da Repubblica Salute)  L’Agenzia Europea del Farmaco ha approvato la prima insulina settimanale al mondo per il trattamento dei pazienti adulti con diabete. Una notizia attesa da tempo che consentirà di ridurre il numero di somministrazioni di insulina ad una sola volta a settimana rispetto alla somministrazione giornaliera oggi prevista. In un anno da un minimo di 365 iniezioni si passa a 52, con un risparmio anche in termini di siringhe utilizzate.

Una novità, a centouno anni dalla scoperta dell’insulina, che avrà un impatto sia sulla gestione della malattia, con una migliore aderenza alla terapia, che sulla qualità della vita dei pazienti. Oggi la terapia insulinica – prescritta ai pazienti con diabete di tipo 1, circa il 10% dei 4 milioni di italiani con diabete, e ad alcuni con diabete di tipo 2 – prevede che il paziente si somministri l’insulina almeno una volta al giorno con la necessità di monitorare e gestire la malattia quotidianamente e di dover programmare l’intera giornata in base a questo. Il numero di iniezioni può rappresentare un ostacolo importante in termini di qualità di vita e di aderenza alla terapia. I dati mostrano che il 50% delle persone con diabete, che necessitano di terapia insulinica, ritardano di oltre due anni l’inizio del trattamento, con ripercussioni sulla gestione della malattia e delle sue complicanze. La somministrazione settimanale offre un vantaggio anche per i pazienti più anziani, con più patologie e per gli operatori sanitari che si occupano delle persone con diabete ricoverate o residenti in strutture di lungodegenza.

Negli studi clinici di fase 3, l’insulina settimanale Icodec ha permesso una riduzione della glicemia (misurata come variazione dell’HbA1c) rispetto all’insulina basale giornaliera favorendo il controllo glicemico nelle persone con diabete di tipo 2. Icodec è un nuovo analogo dell’insulina basale settimanale progettato per coprire il fabbisogno di insulina basale per un’intera settimana con una singola iniezione sottocutanea. È approvato per gli adulti con diabete mellito ma l’azienda che la produce, Novo Nordisk, ha ricevuto le approvazioni normative in Svizzera e Canada per il trattamento sia del diabete di tipo 1 che del diabete di tipo 2 negli adulti.

E parla di “prima rivoluzione” Riccardo Candido, presidente dell’Associazione Medici Diabetologi (AMD): “L’insulina settimanale è la prima rivoluzione per le persone con diabete che fanno terapia insulinica dopo oltre un secolo, adesso gli enti regolatori ne garantiscano in tempi rapidi la disponibilità”. E va oltre Angelo Avogaro presidente SID, Società italiana Diabetologia: “Auspichiamo che AIFA dia il suo nulla osta all’approvazione di questa insulina innovativa, che coniuga benefici clinici a sostenibilità ambientale grazie alla diminuzione nel numero di penne utilizzate e quindi all’uso della plastica”.

Regione Emilia Romagna: ulteriore proroga dei termini per la presentazione della Comunicazione di svolgimento di attività sanitaria per le strutture già operanti al 20 dicembre 2023

Solo alle strutture già operanti al 20 dicembre 2023 è concessa la proroga dei termini al 31 ottobre 2024 per la presentazione della Comunicazione di svolgimento di attività sanitaria (art. 10 e 11, LR 22/2019) da inviare ai Comuni  ove ha sede lo studio (Modulo 8-bis (docx54.17 KB)) e la proroga dei termini al 28 febbraio 2025 per l’adeguamento degli studi ai requisiti autorizzativi (Allegato 1- DGR n. 1919/2023), come indicato nella Nota regionale del 29 maggio 2024. (pdf196.22 KB)

Per qualsiasi quesito relativo alla materia utilizzare esclusivamente la casella di posta elettronica comunicazioneattivitasan@regione.emilia-romagna.it

L’attività fisica si misura in step

(da Univadis)   Le linee guida raccomandano di dedicare ogni settimana almeno 150 minuti all’attività fisica moderata o 75 minuti all’attività vigorosa. Chi non ama calcolare quanto tempo manca all’agognata meta potrebbe avere un’alternativa: fissare come obiettivo un numero di passi e farsi aiutare dallo smartphone. Uno studio dell’Università di Harvard suggerisce infatti che tempo dedicato all’attività fisica da moderata a vigorosa (moderate to vigorous physical activity, MVPA) e conteggio dei passi (step count, SP) sono misure di attività fisica che si associano in modo paragonabile alla mortalità per ogni causa.

Associazioni simili – I ricercatori americani hanno analizzato i dati relativi a 14.399 donne di 62 anni o più che avevano partecipato al follow-up del Women’s Health Study. Durante lo studio ancillare del 2011-2015 alle partecipanti è stato chiesto di compilare questionari con domande sull’attività fisica svolta e di indossare un accelerometro per 7 giorni consecutivi. Il follow-up è terminato nel 2022.

Dall’analisi, corretta per potenziali fattori confondenti, è emerso che sia i valori di MPVA che quelli di SP erano inversamente proporzionali alla mortalità. Le partecipanti che superavano il limite minimo di 150 minuti di MPVA a settimana avevano un rischio di mortalità del 32% più basso rispetto a quelle che ne facevano meno di tutte. Similmente, le donne che facevano in media 7.000 passi al giorno avevano un rischio del 42% più basso rispetto alle partecipanti con un numero di passi quotidiano che rientrava nel quartile più basso.

Quel che resta da capire – Quanti passi bisogna fare per avere benefici in termini di mortalità? Secondo una recente metanalisi almeno 6.000-8.000 per gli adulti con più di 60 anni e 8.000-10.000 per gli individui più giovani. Le conclusioni dello studio, pubblicato su JAMA Internal Medicine, si applicano alle donne anziane e serviranno altri studi per verificare se siano applicabili anche a persone di età o sesso diverso o se ci siano delle differenze quando si considerano altri esiti di salute.  In un editoriale si sottolinea che l’accelerometro usato dalle partecipanti allo studio è più accurato del contapassi dello smartphone. Tuttavia, dato che gli smartphone sono ubiquitari potrebbero essere lo strumento su cui fare affidamento per assegnare degli obiettivi facilmente comprensibili e misurabili, vale la pena testarne l’affidabilità negli studi futuri.

Ecco i superbatteri più pericolosi per l’uomo. L’Oms aggiorna la lista

(da Doctor33)   L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha aggiornato la Lista dei Patogeni Prioritari Batterici (BPPL) per il 2024 modificandola rispetto a quella uscita nel 2017, evidenziando 15 famiglie di batteri resistenti agli antibiotici suddividendoli in tre categorie di priorità. Questa lista vuole aiutare a redigere linee guida migliori per delineare i trattamenti necessari a fermare la diffusione della resistenza antimicrobica (AMR).

L’aggiornamento della BPPL incorpora nuove evidenze e pareri esperti per orientare la ricerca e lo sviluppo (R&D) di nuovi antibiotici e promuovere il coordinamento internazionale per favorire l’innovazione.
I patogeni classificati a priorità critica rappresentano minacce globali significative a causa del loro elevato carico di malattia, capacità di resistere ai trattamenti e di diffondere la resistenza ad altri batteri.
I patogeni di alta priorità rappresentano un carico particolarmente elevato nei paesi a basso e medio reddito, che pongono sfide significative negli ambienti sanitari e per la salute pubblica, includendo infezioni persistenti e resistenza a più antibiotici, necessitando di ricerche e interventi mirati.
I patogeni di media priorità presentano un elevato carico di malattia in alcune aree del modo. Questi richiedono maggiore attenzione, soprattutto nelle popolazioni vulnerabili, inclusi bambini e anziani, in contesti a risorse limitate.

La lista ha visto diversi cambiamenti rispetto alla precedente, con nuove combinazioni patogeno-antibiotico inserite ed altre che hanno cambiato categoria o che sono state eliminate; i cambiamenti pubblicati riflettono la natura dinamica e l’intensificarsi dell’AMR, richiedendo quindi specifici interventi mirati. L’Oms sottolinea come la lista sia indicativa e che debba necessariamente essere adattata ai contesti nazionali e regionali tenendo conto delle specifiche situazioni.    La BPPL 2024 sottolinea anche la necessità di un approccio sanitario pubblico globale per affrontare l’AMR, compreso l’accesso universale a misure di prevenzione, diagnosi e trattamento appropriato.
“La resistenza antimicrobica mette a rischio la nostra capacità di trattare efficacemente le infezioni portando a malattie gravi e aumentando la mortalità,” ha affermato il Dott. Jérôme Salomon, Assistant Director-General for Universal Health Coverage, Communicable and Noncommunicable Diseases dell’OMS.
“La lista è fondamentale per guidare gli investimenti e affrontare la crisi dell’approvvigionamento degli antibiotici e dell’accesso ai farmaci”, ha dichiarato la Dott.ssa Yukiko Nakatani, Assistant Director-General for Antimicrobial Resistance ad interim dell’OMS per la Resistenza Antimicrobica”.   La BPPL 2024 comprende i seguenti batteri:

Priorità critica:
Acinetobacter baumannii, resistente ai carbapenemi;
Enterobacterales, resistente alle cefalosporine di terza generazione;
Enterobacterales, resistente ai carbapenemi;
Mycobacterium tuberculosis, resistente alla rifampicina.

Alta priorità:
Salmonella Typhi, resistente ai fluorochinoloni;
Shigella spp., resistente ai fluorochinoloni;
Enterococcus faecium, resistente alla vancomicina;
Pseudomonas aeruginosa, resistente ai carbapenemi;
Salmonella non tifoidea, resistente ai fluorochinoloni;
Neisseria gonorrhoeae, resistente alle cefalosporine di terza generazione e/o ai fluorochinoloni;
Staphylococcus aureus, resistente alla meticillina.

Media priorità:
Streptococchi di gruppo A, resistenti ai macrolidi;
Streptococcus pneumoniae, resistente ai macrolidi;
Haemophilus influenzae, resistente all’ampicillina;
Streptococchi di gruppo B, resistenti alla penicillina.

Con donne medico minori tassi di morte e ricovero. Ecco perché

(da Doctor33)   Essere presi in cura da un medico donna potrebbe ridurre il rischio di morte: lo suggerisce uno studio pubblicato sugli ‘Annals of Internal Medicine’ secondo cui le cure prestate da medici donne portano a tassi più bassi di mortalità e di ricovero ospedaliero. Inoltre, le pazienti donne beneficiano più dei pazienti maschi, dell’essere seguiti da un medico donna.

Lo studio è stato condotto tra Università di Los Angeles, Università di Tokyo, Università di Harvard e di San Francisco e si basa sui dati Medicare 2016-2019 per circa 458.100 pazienti donne e quasi 319.800 pazienti maschi. Di questi, 142.500 e 97.500, o circa il 31% per entrambi, sono stati trattati da medici donne. Gli esiti primari erano la mortalità a 30 giorni dalla data del ricovero ospedaliero e il ricovero a 30 giorni dalla data di dimissione. Lo studio svela che il tasso di mortalità per le donne era dell’8,15% se trattate da medici donne rispetto all’8,38% quando il medico era maschio – una differenza clinicamente significativa secondo i ricercatori. Per i maschi essere seguiti da medici donne porta a un vantaggio con un tasso di mortalità del 10,15% rispetto al tasso del 10,23% dei pazienti seguiti da medici maschi. Lo stesso vale per i tassi di ricovero ospedaliero. “I nostri risultati suggeriscono che medici donne e maschi praticano la medicina in modo diverso e queste differenze hanno un impatto significativo sui risultati di salute dei pazienti”, spiega l’autore Yusuke Tsugawa. “Ulteriori ricerche sui meccanismi in atto e sui motivi del fatto che il beneficio sia maggiore per le pazienti donne, potrebbero migliorare gli esiti clinici in generale”. Tra le ipotesi in campo c’è che i medici maschi potrebbero sottovalutare la gravità della malattia delle loro pazienti donne – ricerche precedenti hanno notato che i medici maschi sottovalutano i livelli di dolore, i sintomi gastrointestinali e cardiovascolari e il rischio di ictus delle loro pazienti donne, il che potrebbe portare a cure ritardate o incomplete. Inoltre, le donne medico potrebbero essere più capaci di comunicare con le pazienti donne, indirizzandone meglio le cure.

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