I poveri muoiono in media 10 anni prima dei ricchi

(da AGI) Coloro che guadagnano meno di 15.000 dollari l”anno muoiono in media più di 10 anni prima, rispetto a quelle con un reddito annuo superiore a 50.000 dollari. Lo rivela uno studio del Vanderbilt University Medical Center, pubblicato su ‘American Journal of Preventive Medicine’. Negli ultimi 40 anni, il divario tra americani ricchi e poveri ha continuato ad aumentare in termini di salute e mortalità, oltre che di reddito. Ora, in uno studio inedito su una popolazione a bassissimo reddito e prevalentemente nera, i ricercatori hanno scoperto che affrontare le disparità razziali e di reddito nella mortalità richiede un approccio globale. “Gli sforzi per migliorare l’uguaglianza di reddito sono cruciali per ridurre la mortalità e le disparità di salute tra gli americani a basso reddito”, hanno riferito i ricercatori. “Il tabagismo è la principale causa di morte negli Stati Uniti; tuttavia, abbiamo scoperto che in questa popolazione a basso reddito l”eccesso di rischio di morte dovuto alla povertà è maggiore rispetto al fumo di tabacco”, ha detto Wei Zheng, direttore del Vanderbilt Epidemiology Center.
Lo studio ha incluso 79.385 partecipanti tra i 40 e i 79 anni nel Southern Community Cohort Study in corso, la maggior parte dei quali è stata reclutata nei centri sanitari comunitari di 12 Stati del Sud-Est, tra il 2002 e il 2009. Circa due terzi dei membri della coorte sono neri. Più della metà dei partecipanti allo studio ha dichiarato un reddito familiare annuo inferiore a 15.000 dollari. Il contesto ha offerto un”opportunità unica di valutare l”impatto della povertà estrema sulla mortalità in una popolazione a basso reddito razzialmente diversificata.

Un linguaggio stigmatizzante aumenta gli errori medici

(da Univadis – Roberta Villa)   Utilizzare termini stigmatizzanti per riferirsi a un paziente, non solo definendolo come “difficile”, ma anche e soprattutto in relazione alle sue origini etniche o alle sue condizioni socioeconomiche, è sintomo di un pregiudizio che può portare a commettere gravi errori nel ragionamento diagnostico o nell’iter che dovrebbe condurre alla diagnosi. Riferirsi a una persona senza fissa dimora come “al barbone del letto 5”, per esempio, rispecchia un’attitudine all’ascolto inferiore a quella riservata al compagno di stanza. E il linguaggio non rispecchia solo i pensieri ma può anche condizionare il modo di pensare, e le azioni che ne conseguono, al punto da compromettere il processo diagnostico e la sicurezza del paziente.

Un gruppo di ricercatori statunitensi ha voluto verificarlo esaminando retrospettivamente quasi 2.350 ricoveri in una trentina di ospedali nel corso del 2019, individuando in più di un caso su 5 alcuni errori diagnostici che hanno portato la o il paziente a morte o all’ingresso in terapia intensiva nelle 48 ore successive all’accesso. In parallelo, sono stati esaminati i passaggi di consegna e le note scritte da medici, infermieri o personale non sanitario in relazione a tutti questi pazienti, individuando in media nel 5% dei casi un “linguaggio stigmatizzante”, nel senso che metteva in dubbio la credibilità del paziente, faceva riferimento a stereotipi razziali o sociali, esprimeva disapprovazione nei suoi confronti o lo descriveva come “difficile”.

La frequenza di linguaggio stigmatizzante era molto diversa da ospedale a ospedale, passando da quelli in cui si trovava in solo l’1% delle note a quelli in cui raggiungeva l’8%, in relazione alle caratteristiche demografiche dei pazienti e al livello di complessità del centro. Le persone afroamericane erano vittime di un linguaggio stigmatizzante in quasi il 10% dei casi, contro il 3,9% degli asiatici o il 3,8% dei caucasici, ma il gruppo più a rischio di subirlo erano persone senza fissa dimora o con instabilità abitativa, che lo subivano nel 15% dei casi.

Il dato più rilevante, però, è che un linguaggio stigmatizzante si trovava in percentuale doppia (8%) in riferimento ai pazienti poi oggetto di un grave errore diagnostico rispetto a quelli in cui tutto è andato liscio (4%). In particolare, un approccio stigmatizzante era associato a errori diagnostici provocati da ritardo nella presa in carico all’accesso (il doppio che negli altri) e peggior comunicazione con pazienti e caregiver (quasi quattro volte più frequente).

Il linguaggio come specchio dell’azione – Il dato non si può generalizzare a tutti gli Stati Uniti né tanto meno all’Europa. Non necessariamente rispecchia la realtà ospedaliera, e non va certo interpretato in senso quantitativo, ma dovrebbe far riflettere ancora sull’importanza del linguaggio come specchio ma anche motore del pensiero e dell’azione.

Durante i primi anni della pandemia abbiamo verificato come l’uso dell’una o dell’altra metafora per descrivere la diffusione del coronavirus plasmasse la percezione di una situazione per molti versi del tutto nuova: se l’ondata di nuovi casi era descritta come uno “tsunami”, era difficile pensare di poterla controllare, tutt’al più ci si poteva proteggere; utilizzare invece l’immagine di un incendio che prende piede da una scintilla in una sterpaglia, ma può essere spento, o interrotto da un fronte frangifiamme, implica un atteggiamento diverso anche in termini di azioni concrete. Prima ancora si era parlato di questo in campo medico soprattutto in relazione alla narrazione del cancro: le metafore e il linguaggio bellico, che possono suscitare una reazione positiva in alcuni, rappresentano per molti altri, di carattere meno “combattivi”, un ulteriore ostacolo nell’accettazione e nella gestione della malattia e delle cure.

Lo stesso si applica alle espressioni discriminanti tradizionalmente usate per descrivere le persone LGBQT+: anche se si è convinti che la scelta delle parole non abbia nulla a che vedere con le proprie idee, certi epiteti sono talmente incastonati in una cultura irrispettosa dei diritti di questi gruppi che utilizzarli, per quanto in buona fede, porta quasi inevitabilmente con sé anche tutto il carico di discriminazione da cui sono nati. E viceversa: sforzarsi di evitarli comporta ogni volta di ricorrere a un pensiero razionale che scaccia anche i pregiudizi di cui non siamo consapevoli.

Troppo spesso si liquida questa attenzione come un omaggio al “politically correct”, come se rispettare tutti potesse essere considerata una moda come tante altre provenienti da oltreoceano. Le parole invece contano, e hanno un potere. Sulla nostra mente e sui nostri gesti. Non dimentichiamolo.

(https://jamanetwork.com/journals/jamainternalmedicine/article-abstract/2817610)

Crediti bonus per chi si forma sui vaccini. Delibera della Commissione Ecm

La Commissione nazionale per la formazione continua ECM ha emanato la delibera 5/24, che stabilisce: “Di attribuire ai professionisti sanitari che acquisiscano crediti in materia di vaccini e strategie vaccinali un bonus, per il triennio 2026-2028, pari al numero di crediti effettivamente conseguiti nel triennio 2023-2025 su tale tematica, fino a un massimo di 10 crediti”.

Pertanto, per i sanitari che hanno incluso vaccini e strategie vaccinali (tema considerato di importanza nazionale) nei crediti formativi accumulati nel triennio in corso sarà garantito un bonus nel triennio formativo successivo (2026-2028). Questo significa che conseguendo, per esempio 8 crediti in tema di strategie vaccinali durante il triennio 23-25, l’obbligo formativo per il triennio successivo non sarà più di 150 crediti ma bensì di 142.  E il bonus dovrebbe essere attribuito automaticamente dalla piattaforma ECM, che riconosce il tema oggetto di aggiornamento

La spesa sanitaria in Italia inferiore all’Ue ma il sistema (per ora) regge

(da Ansa.it)  È un paradosso tutto italiano, ribattezzato come esempio di Sistema sanitario «frugale». La spesa sanitaria pubblica è infatti «nettamente inferiore» a quella dei principali Paesi europei, sia in valore pro capite che in percentuale del Pil, eppure il sistema, sia pur con scarsi fondi, non solo regge ma registra performance – anche in termini di aspettativa di vita dei cittadini – tra le migliori in Europa. L’andamento della spesa sanitaria, e la singolare condizione del Ssn, è fotografato da una analisi elaborata e pubblicata dalla Federazione italiana delle aziende sanitarie e ospedaliere (Fiaso). A parità di potere d’acquisto, la spesa sanitaria pro capite espressa in dollari statunitensi, rileva l’indagine, in Italia nel 2022 è stata di 3.255 Usd, superiore alla spesa di Spagna (3.113), Portogallo (2.640) e Grecia (1.785), ma inferiore del 53% a quella della Germania (6.930 ), del 42% rispetto a quella della Francia (5.622 ) e del 27,3% rispetto al Regno Unito. Nel 2022, l’incremento della spesa pro capite in Italia, è stato del 6,7%, inferiore a quello di Germania (+7,9%) e Francia (+8,6%), mentre il Regno Unito ha ridotto la spesa dell’1,3%. Anche considerando il biennio 2020-2021, il più duro per la pandemia da SarsCoV2, pur facendo registrare una crescita nell’insieme del 15,5%, quindi con un incremento rilevante rispetto a quello medio degli anni precedenti, la spesa sanitaria pubblica italiana è cresciuta comunque meno rispetto a Francia (+19,2%), Germania (18,4%) e Regno Unito (+28,6%). Considerando l’incidenza sul Pil, la spesa sanitaria pubblica è stata nel 2022 pari al 6,8%, superiore a quella di Portogallo (6,7%) e Grecia (5,1%), ma inferiore di ben 4,1 punti percentuali rispetto a quella tedesca (10,9%), di 3,5 punti rispetto a quella francese (10,3%), di 2,5 punti rispetto al Regno Unito (9,3%). Il Ssn si presenta dunque, afferma Fiaso, come un sistema «frugale», in grado cioè di raggiungere «risultati particolarmente significativi a costi estremamente contenuti».

Gestione separata Inps, come utilizzare i contributi versati

(da DottNet)   La Gestione Separata dell’Inps è il Fondo concepito dal legislatore per dare una copertura contributiva a tutti i lavoratori privi di una vera e propria collocazione previdenziale: innanzitutto i titolari di un rapporto di collaborazione, ma poi anche tutti quei liberi professionisti senza un ordine ed una Cassa. Con questi presupposti, la Gestione Separata non dovrebbe in nessun caso riguardare i medici e gli odontoiatri che, se dipendenti di ospedali ed Asl, versano alla Gestione Dipendenti Pubblici dell’Inps (ex Inpdap), mentre, se sono dipendenti di case di cura private, hanno una copertura presso il Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti.

Ed invece quasi tutti i sanitari hanno una posizione contributiva presso la Gestione Separata dell’Inps, perché a quella gestione sono indirizzati i contributi dei medici con contratto di formazione specialistica (la maggior parte dei neolaureati in medicina), oltre a quelli di coloro che proseguono la carriera universitaria, come i beneficiari di borse di studio per la frequenza ai corsi di dottorato di ricerca e i percettori di assegni di ricerca. Non solo: fino alla stipula di uno specifico accordo fra Enpam ed Inps, che ha chiarito che tutti i contributi in qualche modo riconducibili alla professione medica ed odontoiatrica vanno versati alla specifica Cassa di appartenenza, molti medici hanno alimentato la Gestione Separata con i versamenti riferibili ai propri contratti di collaborazione.

E adesso cosa fare con questi contributi? Va detto innanzitutto che in linea di principio questi contributi non sono oggetto di ricongiunzione, non possono cioè essere trasferiti ad un’altra gestione dell’Inps o dell’Enpam, per il calcolo di un unico trattamento. In realtà, questa posizione è stata recentemente scalfita da alcune sentenze (tra tutte la sentenza di Cassazione n. 26039/2019), ma sinora l’Inps non le ha recepite in una determinazione unitaria, costringendo ogni interessato a fare ricorso giudiziario per vedersi riconosciuto il proprio diritto. A questo inconveniente non da poco, va aggiunta la scarsa convenienza dell’operazione per i liberi professionisti, dato che la Quota B Enpam non prevede la ricongiunzione, mentre la Quota A riconosce benefici piuttosto ridotti.

Se si ha la possibilità, è quindi meglio percorrere la strada di un trattamento autonomo, cioè aggiungere alla pensione Enpam da convenzionato o a quella Inps da dipendente, una diversa pensione erogata dalla Gestione Separata Inps. Ciò avviene nel caso di corsi di specializzazione particolarmente lunghi (almeno 5 anni) oppure quando ai contributi da specializzando si uniscono posizioni pregresse relative a rapporti di collaborazione, anche riferibili a docenze o a cariche ordinistiche. Infatti, la Gestione Separata prevede, attualmente all’età di 71 anni, l’erogazione di una pensione supplementare in presenza anche di soli 5 anni di contributi.

Inoltre, è possibile esercitare, all’atto del pensionamento, la facoltà di computo, che consente, a determinate condizioni, di sommare alla Gestione separata i contributi presenti in altre gestioni obbligatorie (con esclusione delle Casse dei liberi professionisti), sempre per ottenere una pensione calcolata con il sistema contributivo. Per la pensione anticipata a 64 anni occorre aver maturato un importo di pensione pari almeno al triplo dell’assegno sociale (€ 1.603,23 mensili lordi); per la pensione di vecchiaia a 67 anni, basta invece arrivare all’assegno sociale (€ 534,41).

Se poi ad un trattamento autonomo proprio non ci si arriva, rimane l’opzione del cumulo, cioè far conteggiare tutte le posizioni contributive congiuntamente, ai fini del diritto e della misura di un’unica pensione. Ciò comunque comporta che tutti i trattamenti vengano materialmente pagati dall’Inps, anche se l’Enpam trasferisce materialmente all’istituto la propria quota. Di qui l’applicazione delle regole Inps, meno favorevoli di quelle dell’Enpam, in tema di rivalutazione delle pensioni e soprattutto nel campo della reversibilità ai superstiti, con tagli anche consistenti degli importi corrisposti, in presenza di redditi propri del beneficiario (per capirsi, la reversibilità Enpam al coniuge è del 70%, mentre per le pensioni Inps, comprese quelle in cumulo, è al massimo del 60% e scende fino al 30% in presenza di un reddito proprio superiore a 5 volte il minimo Inps, pari a poco meno di 3.000 euro mensili lordi).

IRIDEWEB, PER ACCEDERE AL TUO ORDINE CON UN CLICK

E’ operativo sul portale dell’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri della Provincia di Forlì-Cesena la procedura IRIDEWEB, acquistata con i fondi del PNRR.

Questo sotto programma, disponibile al link https://omceofc.irideweb.it/ facilita enormemente l’accesso alle prestazioni di segreteria più comuni, perché  tramite accesso via SPID o CIE dell’iscritto permette di scaricare e stampare il certificato di iscrizione all’ordine, scaricare e stampare l’autocertificazione di iscrizione all’Ordine (per enti pubblici), stampare la dichiarazione di pagamento della quota di iscrizione e dal prossimo anno permetterà anche la stampa del duplicato del bollettino di pagamento dell’Ordine.

Quanto ai colleghi neo laureati, attraverso IRIDEWEB sarà possibile fare la prima iscrizione all’Ordine direttamente on line.  Il sistema è in fase di ulteriore implementazione, per esempio in futuro i medici iscritti potranno fare la domanda di trasferimento verso il nostro ordine sempre on line.

Gli iscritti potranno anche modificare l’indirizzo di residenza, numero di telefono e la propria email non pec.

Inoltre è attiva la ricerca medici pubblica per chi cerca un medico iscritto al nostro Ordine.

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